Cent’anni di mamma Bruna

Persone veramente speciali sono quelle che da una vita fanno del bene senza mai essersi volute esporre né aver cercato di ottenere particolari riconoscimenti. Nel loro caso, infatti, è l’appagamento personale il riconoscimento più grande. Così è stato – ed è – di certo per Bruna Pratesi, classe 1924.

«Oggi (ieri – n.d.r.) è il 2 di aprile e faccio 100 anni esatti! Sto bene, sono in salute e sono convinta che questo sia dovuto proprio alle mie azioni caritatevoli, che non ho mai compiuto per dovere ma perché da sempre mi sento nata per fare questo».

Bruna è un’esplosione di vivacità, una donna “tosta”, che nonostante l’età così avanzata conserva una voglia di darsi da fare per il bene altrui davvero invidiabile. (Oltre a compiere davanti ai nostri occhi flessioni sul busto con la punta delle dita fino a terra a gambe tese che nemmeno un ginnasta!…). A chi le chiede quale segreto abbia serbato per un risultato del genere, per essere ancora così all’età di 1 secolo, lei candidamente risponde che «bisogna mangiare sempre cose buone ma soprattutto agli orari giusti…e poi per me la cosa che ha contato di più è stata di sentire che stavo facendo del bene a qualcuno!»

Insomma, “fare del bene fa bene anche a chi lo fa, non solo a chi lo riceve!”…il che, a vivere il privilegio di stare pur soltanto 5 minuti in compagnia di Bruna, non sembra affatto un semplice slogan, bensì una profonda sostanza, il senso stesso di “fare volontariato” anche – e forse soprattutto – in epoca moderna.

«Ho fin da giovane iniziato a lavorare con la Misericordia di Arezzo. Qui ho collaborato per almeno quarant’anni, anche insieme a un’altra volontaria, Giovanna, al guardaroba. Non abbiamo mai preso niente, neanche un soldo, il volontariato vero è così e noi eravamo ben felici che così fosse».

Al guardaroba Bruna si occupava delle divise, dal lavaggio alla stiratura, comprese le riparazioni. «Ogni mattina noi eravamo qui ad aspettare i Volontari – racconta Bruna – e ci occupavamo di tutto il vestiario, dei tessuti, compresi i paramenti sacri per la chiesa; anche rimettendo in sesto ciò che ne aveva bisogno; e quello che non riuscivo a finire lì, me lo portavo da fare a casa».

Per la centenaria Bruna (Pratesi “da ragazza”, come si diceva una volta, e Tarchiani “da maritata” – n.d.r.) la Misericordia è da sempre una seconda casa. E, con quel suo fare così diretto ma allo stesso tempo affabile, che sa di autenticità lontano un miglio, ammette che lo stesso primo incontro con la Misericordia fu a suo tempo l’ingresso in una seconda famiglia. «Perché mi resi conto subito che soltanto qui avrei potuto prestare il mio aiuto come piaceva a me!».

«Ho iniziato alla Misericordia nel periodo in cui facevo la vigilatrice nel carcere. Quando finiva il mio turno, mi sentivo come “vuota” e allora mi sembrava che aiutare qualcuno bisognoso fosse un’opera buona in grado di colmare quel vuoto. Pensa che ho cinque figli ma uno l’ho adottato: era un bambino che non aveva veramente nessuno al mondo, ma per lui io sono sempre stata “mamma Bruna” e tanto mi bastava, mi riempiva il cuore».

«Dobbiamo essere riconoscenti a Bruna – ha sottolineato il Governatore della Misericordia di Arezzo il prof. Pier Luigi Rossi – non solo per quanto lei ha fatto per la Misericordia e per l’intera cittadinanza aretina ma anche perché oggi questo suo “raccontarsi e raccontarci” è esso stesso una testimonianza preziosa, un omaggio al bene comune!»

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