Che sinistra è una sinistra che rinuncia al popolo?
Decisi di comprarlo perché ero incappato in alcune recensioni che raccontavano quel libro come una celebrazione di un’America silenziosa, profonda. Quella che un tempo riempiva le chiese, coltivava la terra e faceva girare le industrie. Quell’America che rappresentava la base popolare dei democratici e che improvvisamente aveva “torto il muso” ai progressisti.
Spesso le pagine di un romanzo raccontano più cose di un libro di sociologia politica e confesso che ero curioso di capire se libro di Vance potesse contenere qualche risposta a quanto stava e sta accadendo in Italia e in Europa.
Pur con le inevitabili differenze devo dire che qualcosa c’è. Ho ritrovato i temi della rassegnazione e della disillusione, della rabbia senza speranza. Dell’incapacità per tanti, me compreso, di stare al passo di un mondo che cambia sotto i nostri occhi.
Ma soprattutto ho ritrovato sullo sfondo, anche se non è mai citata, l’indifferenza di una classe politica sempre più ristretta. Non importa se la gente non va più a votare, se l’economia, come diceva Terziani «è fatta per costringere tanta gente a lavorare a ritmi spaventosi per produrre delle cose, per lo più inutili, che altri lavorando a ritmi spaventosi, potranno comprare», non importa se si smarrisce sempre di più il senso di comunità. Quello che importa per tutti, nessuno escluso, è “mettere il fieno in cascina”.
L’Ohio di Vance non è la Valdichiana, eppure qualche tratto comune esiste, per esempio quella frammentazione sociale che ci porta dire “fin quando i problemi non mi toccano, non sono miei problemi”. Di fronte a tutto questo possiamo rimanere ciechi e sordi, convinti di essere in ogni caso nel giusto e che alla fine la storia ci darà ragione. Non mi pare che sia proprio così.
O se fossimo noi a sbagliare? Voglio farvi una domanda provocatoria: che sinistra è una sinistra che rinuncia al sostegno della gente comune?