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giovedì | 30-01-2025

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La banalità del male

Oggi è il giorno della Memoria. Ottanta anni fa, il 27 gennaio 1945, l’Armata Rossa entrò nel campo di sterminio di Auschwitz. Allora fu un potente segnale di liberazione per tutti oggi invece, nemmeno nel ricordo, la politica mondiale è in grado di ritrovarsi unita. Per esempio alle celebrazioni ad AUSCHWITZ-BIRKENAU non sono stati invitati i russi. Una “discriminazione” che non offende Putin ma di certo oltraggia i milioni di russi caduti nella guerra contro il nazismo.
Ma c’è di più. Quest’anno il Giorno della Memoria spinge inevitabilmente a immergerci nell’attualità, rimanda come un boomerang al pogrom del 7 ottobre ed ai massacri di Gaza. Una apocalisse che ha fatto cadere sopra Israele un pesante discredito.
La Shoah e la distruzione di Gaza sono episodi assi diversi sul piano della storia ma il sangue, i lutti, le rovine sono eguali. E se per alcuni servono a risvegliare un mai sopito antisemitismo per altri inducono ad una riflessione su quanto diceva Primo Levi: «è avvenuto, quindi può accadere di nuovo: questo è il nocciolo di quanto abbiamo da dire».
Per questo non mi piacciono quelle celebrazioni che guardano all’estetica dei fatti ma evitano accuratamente di ragionare su quello che accade nel mondo. Per cui bastano un paio di letture del diario di Anna Frank e qualche installazione artistica per sentirsi in pace con la coscienza.
Niente di più sbagliato. Visto il turbine che ci avvolge sarebbe oltremodo utile meditare su quella che Hannah Arendt definisce la “banalità del male”. Quella banalità che trasformò cittadini comuni in “volenterosi carnefici di Hitler”, figli di un’obbedienza cieca alle strutture di potere, come scrive Daniel Goldhagen.
Le strutture del potere oggi sono qualcosa di diverso rispetto al passato. Sono vecchie e modernissime al tempo stesso, sono il serpente biblico che si insinua, attraverso i mezzi di comunicazione, gli smartphone, i social fin dentro le nostre teste, cambiandoci la percezione della vita.
Non si spiega in altro modo l’indifferenza e talvolta il plauso con cui ai nostri giorni si accolgono parole come deportazione, guerra, naufragi. Che razza di mondo è quello in cui le persone vengono disumanizzate, ridotte a numeri e i bambini sono messi in gabbia per separarli dai genitori? Che razza di mondo è quello in cui si violenta l’ambiente per poi meravigliarsi se la terra risponde? L’indifferenza ci sta fregando.
Cosa c’entra tutto questo con il giorno della memoria? Se si guarda alle parole intrise di retorica delle celebrazioni non c’entra nulla. Se però si scandaglia a fondo possiamo renderci conto che il senso più vero di questo giorno non è solo nella custodia della memoria ma è nell’ascoltare il grido disperato di chi ci rammenta che l’orrore dell’olocausto non è rinchiuso nei cassetti della storia ma come il dibbuk, lo spirito maligno della tradizione ebraica, è pronto a possederci di nuovo.

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