Le strane strategie geografiche del Pd in provincia di Arezzo

Il problema è che il no al referendum confermò quella che delle Province era già stata una riforma, quanto nel rispetto della Costituzione non è mai stato chiarito: la riforma Del Rio che di Renzi era ministro.
Una riforma che non cancellava nessuna delle Province, relegandole però al ruolo di secondo livello, con il presidente e i consiglieri eletti non dai cittadini ma dai consigli comunali, ed esautorandole delle deleghe che venivano trasferite, insieme a gran parte del personale, alle Regioni.
Tutto come prima, ma in peggio, senza nessun vantaggio sui costi della politica e con enormi svantaggi sulla gestione del territorio delle Province più virtuose, come era sempre stata, appunto, quella di Arezzo.
Sorvolando, almeno per qualche settimana- quelle che precedono le elezioni a Laterina e Pergine– sul fatto che il centrosinistra si avvia a perdere la maggioranza in Sala dei Grandi compreso il presidente della Provincia, ce n’è già abbastanza per restare perplessi di fronte all’assenza di una strategia condivisa tra i comuni aretini ancora, sempre meno, a guida centrosinistra.

C’è da rimanere perplessi di fronte alle diatribe in corso a San Giovanni Valdarno, quarto comune della provincia per numero di abitanti, sull’adesione del comune all’area metropolitana fiorentina.
Il che vorrebbe dire uscire dalla provincia di Arezzo, per fare di San Giovanni uno dei tanti piccoli comuni della cintura fiorentina.
E pensare che proprio la Provincia di Arezzo, che ha avuto tra l’altro più di un sindaco di San Giovanni tra i suoi presidenti storici, ha messo in campo sul territorio del comune di Palazzo Arnolfo il meglio della sua capacità progettuale sulla viabilità.
E’ vero, è improponibile il confronto tra il ruolo affidato alla istituzione Provincia prima e dopo la riforma Del Rio.

Ma se è così è proprio grazie ad una rottamazione incompiuta da Renzi e il suo ministro che hanno lasciato intatto il numero delle Province, senza ridurre i costi delle deleghe trasferite alle regioni insieme al personale, e trasformandole in enti fantasma.
Una riforma all’italiana che ha penalizzato più di ogni altra Provincia, proprio quella di Arezzo.
Alla quale il tanto vituperato governo tecnico Monti, grazie al suo ministro Patroni Griffi, nel suo decreto di riforma delle Province, che prevedeva l’accorpamento delle Province da 108 a 51, aveva riconosciuto alla Provincia di Arezzo tutti i requisiti richiesti per conservare la sua autonomia.
Unica in Toscana, dove Siena era stata accorpata con Grosseto, Firenze con Prato e Pistoia, Pisa con Livorno, Massa Carrara, Lucca.
E se Arezzo aveva i requisiti per conservare la sua autonomia insieme alle sue vallate, Valdarno compreso, era anche grazie al suo quarto comune per numero di abitanti.
Anche per questo lasciano a dir poco interdetti le diatribe di oggi sulla fantomatica adesione di San Giovanni all’area metropolitana fiorentina.
Fuori luogo e parecchio fuori tempo massimo.

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