Comune, Pd, Soprintendenza: chi cade dai lecci e chi cade dai tigli

E a giudicare dagli ultimi echi della diatriba tra paladini dei lecci e paladini dei tigli, nessuno è immune da vertigini, nessuno è al riparo dall’insolazione: non lo è il Comune che, dopo aver buttato soldi un anno fa per capitozzare i lecci dei giardini del Porcinai, prima decide di eliminarli, poi torna sui suoi passi perché costa troppo smaltire e sostituire 72 piante che hanno più di ottant’anni.
Ma non ne sono immuni neanche Pd e la sinistra che hanno fatto muro contro l’abbattimento dei lecci, paladini del verde storicizzato quando non avevano mosso ciglio di fronte all’abbattimento dei pini di San Domenico che di storia da ricordare non ne avevano di meno, visto che a piantarli era stato Padre Raimondo Caprara, lo storico parroco che durante la guerra aveva difeso il Convento come una Repubblica, appunto di San Domenico, inviolabile anche per l’esercito tedesco.
Figuriamoci se si salva dalle vertigini la Soprintendenza.

Che il Comune, dopo aver deciso di salvare i lecci, deve ora convincere che non conviene sostituirli con i tigli, come consigliava, appunto, la Soprintendenza, per tornare alle origini del progetto del Porcinai che prevedeva, appunto, i tigli, non i lecci.
Le vertigini rischia di farle venire a tutti proprio la Soprintendenza che quando si tratta di restaurare i giardini del Porcinai vuol sostituire i lecci piantati negli anni trenta con i tigli, e quando si trattò di restaurare Piazza Guido Monaco fece muro contro la sostituzione dei lecci perché – sostenne- erano ormai piante storicizzate.
Strano modo quello della Soprintendenza di interpretare la storia.
Visto che quando furono messi a dimora i lecci di Piazza Guido Monaco, quelli dei giardini del Porcinai c’erano già da più di vent’anni.

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