Sos per il supercalcolatore Olivetti di Bibbiena, il tecnico: “Ora o mai più”

La sigla sta per ELaboratore Elettronico Aritmetico, il nome del primo calcolatore commerciale a transistor prodotto in Italia e ideato alla fine degli anni ’50. Nel mondo ne sono stati venduti circa 40 e tra gli acquirenti di allora ci fu anche la Monte dei Paschi di Siena, che lo utilizzò finché divenne uno strumento obsoleto per le necessità operative della banca. Negli anni ’70 la macchina fu regalata all’Istituto Tecnico “Enrico Fermi” di Bibbiena, dove da allora troneggia in una grande stanza (quasi) tutta sua. Stando a quanto sostengono gli esperti, a oggi quello custodito all’ISIS è l’unico modello parzialmente funzionante al mondo. Ancora per quanto? Ballabeni se lo chiede con insistenza da qualche settimana.

Fino a pochi mesi fa il supercomputer sembrava destinato a un futuro roseo di tutela e valorizzazione, grazie all’iniziativa di un altro ex Olivetti. Luigi Tozzi (Luigino per gli amici) viveva da decenni a Ivrea ma era nato a Civitella in Val di Chiana e tornava in zona tutte le volte che poteva. Le sue origini aretine e il lavoro che ha amato profondamente l’avevano portato a concepire una specie di mission impossible intorno al gigante a transistor del Casentino. Scuole, imprese, enti turistici e istituzioni a tutti i livelli avrebbero avuto ciascuno una parte nel compito di mantenere in vita il macchinario e farlo conoscere il più possibile, rendendolo un propulsore di conoscenza didattica e scientifica e una calamita turistica. Tozzi pensava che il primo risultato da portare a casa fosse dare vita a un soggetto collettivo con cui interfacciarsi ufficialmente verso l’esterno. L’associazione Amici Olivetti Elea 9003 stava per essere formalmente fondata quando Luigino se n’è andato. “Dopo la sua scomparsa, per il momento è morto tutto lì“, spiega Mauro Ballabeni, che ha raccolto il testimone del collega. “Dal lato politico ci sono state le elezioni comunali e regionali. Non siamo mai riusciti a fare un piano con la Regione Toscana – e sarebbe il caso -, né ad avere un minimo di conforto dalla Monte dei Paschi“.

È con Ballabeni che bisogna parlare per avere un quadro completo della situazione. Lui, uno dei membri del comitato promotore dell’associazione rimasta finora solo sulla carta, va subito al sodo. “Se vogliamo salvare questa roba o facciamo qualcosa adesso o ci dobbiamo rinunciare“. C’è un aspetto fondamentale da tenere in considerazione e l’ex Divisione Elettronica lo ribadisce a più riprese dall’inizio: “per conservarlo accendibile, l’Elea deve rimanere a Bibbiena. È l’unica cosa che si può fare per non condannarlo a diventare un semplice pezzo da museo. Spostarlo vuol dire ucciderlo“. Per preservare il suo straordinario valore, quindi, la sua posizione non può essere modificata di un millimetro. Un pezzo da novanta di archeologia informatica, del resto, fa gola a chi si intende di questo settore. “Due enti si sono già fatti avanti per averlo“, spiega Ballabeni. “Il primo è il Museo degli Strumenti per il Calcolo di Pisa, mentre il secondo è il Museo della Scienza e della Tecnologia ‘Leonardo da Vinci’ di Milano. In entrambi i casi, se noi spostassimo la macchina da Bibbiena metteremmo un cadavere in mostra. Si potrebbe raccontare che cosa faceva, ma non far vedere che cosa fa“. Non cedere l’Elea 9003 si lega inscindibilmente alla scelta di non diminuirne drasticamente il pregio e le potenzialità di unicum rispetto a “tutti gli altri computer custoditi nei musei americani, inglesi, italiani, tedeschi. È un privilegio che Bibbiena può sfruttare ancora per qualche anno, ma non sappiamo quanto durerà“.

Il calcolatore comincia a dimostrare la sua età e richiede interventi di manutenzione sempre più frequenti e complessi. A quest’attività si dedicano un paio di volontari nel loro tempo libero, in contatto via chat e telefono con i tecnici originari del supercomputer. “Quella macchina lì ha più di 50 anni, potrebbe viverne altri 50 se c’è qualcuno che ci mette le mani. Il problema è che quel qualcuno oggi ha 80 anni e fra mezzo secolo non ci sarà più. Di progettisti in vita ne sono rimasti quattro“. L’interesse di musei prestigiosi contro l’inamovibilità, il tempo che scorre implacabile e riduce al lumicino le risorse umane con le competenze necessarie per riparare il calcolatore e tenerlo in attività. Più di tutto questo, ciò che esaspera Mauro Ballabeni è il muro di gomma dell’indifferenza. “Lo dico fuori dai denti. A parole tutti vorrebbero valorizzare questa specie di rudere d’acciaio e transistor. Il Comune di Bibbiena non ha fatto assolutamente niente, l’Elea non è neppure sul sito dell’ente. Il Fermi secondo me è una bella scuola, i ragazzi sono svegli e alcuni insegnanti nel tempo si sono dedicati alla cosa. Il problema è che l’istituto non ha soldi, gli tagliano il budget. I fondi non sarebbero un problema se il Ministero ci desse una mano. Se anche io avessi 100mila euro in mano, ora come ora il preside mi direbbe che non mi può dare un’aula in più, che non possiamo fare un ingresso separato per portare i visitatori la domenica quando la scuola è chiusa, che la Provincia non può fare i lavori…Capisce? La burocrazia dello Stato è una cosa che ci vuole un’altra Guerra Mondiale per distruggerla. Io non ce l’ho con l’ISIS, ma con il fatto che la scuola non ha potere“.

Da portavoce di un gruppo di appassionati irriducibili, Ballabeni non demorde. Nei prossimi giorni ha in agenda una fitta serie di appuntamenti che lo porteranno a lasciare l’Emilia Romagna, dove abita, per avventurarsi in terra aretina e incontrare vari soggetti pubblici e privati. “La macchina deve restare lì, bisogna crearle intorno un mini museo. E questo si riesce a fare soltanto se il Comune di Bibbiena parte con la lancia in resta e il preside fa pressione assieme alla Regione sul Ministero della Pubblica Istruzione per avere più spazi, un ingresso separato, una persona pagata che si occupi a tempo pieno dell’Elea, perché chi lo fa adesso è gente che deve andare in aula a insegnare. Come facciamo a far venire una classe alla settimana, a ricevere ospiti da un altro Paese quando non c’è nessuno disponibile, che conosca la macchina o la sappia quanto meno accendere? Sono i locali che se ne devono prendere cura. Tutti sono orgogliosi quando parlano del calcolatore, ma resta sempre il solito nodo da sciogliere: chi va in cucina a fare la minestra?“.

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