Non possiamo parlare del futuro se non guardiamo a quello che abbiamo alle spalle
Figura fondamentale per la ricerca storica nella nostra provincia, anche se le sue, come amava ricordare, non erano pedanterie da erudito ma vere e proprie inchieste giornalistiche, caratterizzate dall’accuratezza e dalla capacità descrittiva dei fatti.
La sua opera ha spaziato su tantissimi avvenimenti, passando da figure come il capitano Magro, la cui vicenda meriterebbe di essere conosciuta da tanti, fino al brigante aretino per eccellenza, Federigo Bobini, detto Gnicche.
Da castiglionese vorrei ricordarlo per i libri che Enzo ha dedicato a due fatti di cronaca del nostro territorio. Il primo è “Vento” e ripercorre la terribile storia di Angelo Menci, detto appunto “Vento” che, nei primi del ‘900, in un raptus, uccise ben nove persone. L’altro, intitolato “Ci giurammo eterno amore”, che racconta la triste storia di Ida ed Eugenio che, nella piana tra Brolio e Foiano, furono protagonisti di un fatto di sangue culminato nell’uccisone della ragazza e nel tentato suicido dell’uomo.
Due episodi rimasti scolpiti nella memoria della nostra comunità e tramandati nel tempo attraverso modi di dire e canzoni. Il merito di Enzo non sta solo nell’aver riscoperto e ricostruito i fatti, ma anche nell’averli inquadrati perfettamente nel clima dell’epoca e nella realtà sociale ed economica della Valdichiana di quel periodo.
Sono vicende che sembrano lontane, quasi incredibili, eppure sono più vicine di quanto si pensi, perché la nostra storia, anche quella di oggi, piena di tecnologia, affonda con radici profonde nel passato. Non potrò mai dimenticare l’insegnamento di Enzo: non possiamo parlare del futuro se non guardiamo a quello che abbiamo alle spalle.
Alla famiglia le mie condoglianze e quelle della redazione di Arezzo 24.