Icastica, la “bella addormentata” della cultura aretina. Macrì: “Un progetto forte per la città” – Foto
Degli anni di Icastica ad Arezzo restano un paio di profili Instagram, una serie di articoli su testate locali e nazionali e l’eco di una petizione rimasta senza conseguenze.
Partita nel 2013, Icastica porta la doppia firma di Pasquale Giuseppe Macrì, ex assessore alla cultura nella giunta Fanfani, e Fabio Migliorati, rispettivamente ideatore e direttore artistico della kermesse di arte contemporanea. Dopo la sua terza edizione, però, per la rassegna arriva la battuta d’arresto: l’amministrazione Ghinelli accantona l’iniziativa per il 2016, giustificando la decisione con costi troppo pesanti da sostenere per le casse comunali. Uno stop che, a detta del sindaco, non dà seguito ma apprezza gli sforzi del comitato promotore dell’evento, impegnato in una raccolta firme sottoscritta da quella parte di Arezzo (e non solo) che Icastica la voleva eccome. Da allora, dell’affaire Icastica si è parlato poco o niente. La registrazione del marchio, portata a termine per conto e a nome del Comune nel luglio 2017, ha lasciato campo all’ipotesi di una riflessione in corso sul destino della rassegna. Al momento, però, Icastica si conferma la “bella addormentata” del panorama culturale aretino: circondata da un silenzio serrato, senza potersene andare altrove né risvegliarsi.
Stallo, perciò, ma anche l’occasione propizia per rinfrescarsi la memoria su Icastica, cosa è stata e cosa potrebbe essere, dentro e fuori Arezzo. La parola a Pasquale Giuseppe Macrì, inventore e membro del comitato scientifico dell’evento.
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Bianca: Cominciamo dalle origini. Da dove arriva Icastica?
Pasquale Giuseppe Macrì: Dall’idea di portare le opere d’arte contemporanea fuori dai musei e dalle gallerie elitarie, in mezzo alla gente, attraverso un’operazione di de-musealizzazione.
Bianca: Quali sono i numeri più importanti della kermesse?
Pasquale Giuseppe Macrì: Per me sono le 5300 firme della petizione che gli aretini hanno sottoscritto per vivere un’esperienza culturale alta e profonda.
Bianca: Secondo lei Arezzo e i suoi abitanti erano preparati ad un’invasione d’arte contemporanea?
Pasquale Giuseppe Macrì: Non bisogna essere preparati, sono avvenimenti che vanno vissuti. Nessun ragazzo è preparato alle emozioni adolescenziali, nessun intellettuale alle rivoluzioni culturali. Questa procedura espositiva ha trovato conferma in tante altre città, da Roma a Napoli a Torino, dove il concetto e il significato di Icastica sono stati replicati e tuttora perdurano. Chiunque oggi giri per l’Italia trova pezzi di Icastica.
Bianca: Eppure questo evento è stato additato in passato come un corpo estraneo alla città del Saracino, del Polifonico e della Fiera Antiquaria.
Pasquale Giuseppe Macrì: Probabilmente è un’accusa proveniente da coloro che hanno voluto politicizzarlo. In realtà, Icastica ha coinvolto le espressioni delle tradizioni folkloristiche e culturali della città. Per molti mesi tutta Arezzo lavorava per Icastica, insieme ad artisti che venivano da fuori. E la cooperazione fra i grandi artisti nazionali e internazionali e le realtà culturali applicative locali è stata una ricchezza per tutti i cittadini di Arezzo.
Bianca: Il cambio di amministrazione ha portato con sé anche la rinuncia a questo appuntamento culturale. Ha qualche rimpianto da ex assessore?
Pasquale Giuseppe Macrì: I rimpianti non sono situazioni soggettive e personali. Come ex assessore, ho quello di non aver potuto sviluppare un progetto che la nuova amministrazione avrebbe dovuto fare proprio, modificare, migliorare, ma comunque portare avanti. Del resto, in campagna elettorale, il sindaco ha ripetuto più volte che avrebbe proseguito Icastica, magari in forma di biennale.
Bianca: C’è un futuro per Icastica altrove?
Pasquale Giuseppe Macrì: Il futuro di Icastica significa il modo giusto di far vedere le cose. Oggi ad Arezzo bisogna pensare non solo a questo, ma anche al modo giusto di fare le cose. C’è bisogno di un progetto forte, coraggioso per la città, che tenga presente l’attuale condizione di crisi economica, finanziaria, socio-lavorativa e porti Arezzo a ricostruire se stessa.
Bianca: Se Icastica potesse parlare, cosa direbbe oggi agli Aretini?
Pasquale Giuseppe Macrì: Che Arezzo è stata una città d’arte e lo ha dimostrato in tutti i secoli. Anche durante gli anni di Icastica.