Pa: il problema non è nel numero dei dipendenti, ma nell’efficienza e nella qualità del servizio
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Ho ascoltato al bar una signora, che si proclamava avvocato, lamentarsi perché “negli uffici pubblici, con la scusa dell’emergenza non fanno un cazzo”. La soluzione? Licenziarli in tronco, oppure spedirli in cassa integrazione, come se i soldi della cassa integrazione non fossero dello stato. Probabilmente è vero che la signora ha trovato delle difficoltà e che qualcuno approfitta dell’emergenza per non lavorare. Tuttavia, da questo a dire che i dipendenti pubblici devono andare tutti a casa ce ne corre. Anche perché, avrei voluto domandare alla gentile avvocata, se è a conoscenza del fatto che lo stato moderno è nato assieme alla burocrazia: scuola pubblica, tribunali, sanità, trasporti. Sia chiaro, se ci sono furbi, furbetti o semplicemente vagabondi, devono essere messi in riga. Nondimeno uno stato non può funzionare senza apparati. Vediamo di sfatare qualche mito. In Italia i dipendenti pubblici sono troppi? I numeri dicono il contrario. In Italia vi sono 3.055.000 dipendenti pubblici, contro i 5.530.000 della Francia e i 5.076.000 del Regno Unito. La Germania ne ha meno, ma il dato è falsato dal fatto che in Germania il personale sanitario ha un contratto di tipo privatistico. In termini percentuali in Italia i dipendenti pubblici sono il 14% del totale dei lavoratori, in Portogallo, Irlanda e Spagna sono il 15%, nei paesi nordici sono il 25%. Il problema dunque non è nei numeri, ma nella qualità e nell’efficienza del servizio. Perché da noi funzionano peggio? Forse perché, come ha detto quel presentatore inglese di talk show e come sembra pensare l’avvocata, “Il coronavirus è una scusa degli italiani per prolungare la loro siesta“.
Funziona peggio perché le nuove tecnologie sono poco diffuse e c’è stato il blocco del turn-over.
Lo si è visto quando, con la diffusione dello smart working, scarseggiavano le competenze informatiche, gli strumenti, i programmi. In Italia, la quota di addetti alla pubblica amministrazione con meno di 35 anni è il 2%, la più bassa in Europa e quella di addetti con più di 54 anni è il 45%, la più alta. Incide questo sull’efficienza e sulla rapidità di risposte? Penso di sì.
Ma oltre a questo ci sono mancanze legate ai vari settori d’impiego che portano ad aumentare l’inefficienza dell’apparato: facciamo degli esempi. In Italia ci sono 5,4 infermieri per 1000 abitanti, contro i 9,9 della Francia, i 7,9 del Regno Unito, i 13,3 della Germania e gli 11,3 degli USA. Gli addetti ai servizi per l’impiego, quelli che dovrebbero aiutare nei percorsi di ricollocazione, sono 9000, contro gli 11.000 della Spagna, i 49.000 della Francia e i 115.000 della Germania! E la stessa carenza di personale porta a rallentamenti in molti settori: basti pensare all’amministrazione della giustizia civile, ai controlli ambientali e così via.
Sulle cose bisogna ragionare prima di (s)parlare. Il problema è che questo paese campa di scoop, per cui fa notizia il delinquente che froda sul cartellino e non i tanti che fanno il loro dovere.
Gli antichi romani avevano un detto: ”dìvide et ìmpera”, dividi e comanda. È quello che si sta cercando di fare, dividendo i dipendenti pubblici (sicuramente più garantiti) dai lavoratori privati.
Indirizzando la rabbia sociale verso i così detti “statali”, si evita che qualcuno metta gli occhi su chi ingrassa nella crisi e soprattutto ci si chieda come sia possibile che il 20% più ricco degli italiani detenga quasi il 70% della ricchezza nazionale.