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lunedì | 24-02-2025

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Recovery fund, ad Arezzo siamo pronti?

Forse, ma occorre recuperare la categoria del coraggio, perché la sfida del dopo pandemia non sarà solo economica, ma investirà la politica come “scienza e arte di governare”. È fuor di dubbio che senza una visione d’insieme ha poco senso parlare di digitalizzazione, competitività del sistema produttivo, rivoluzione verde, economia circolare, istruzione, formazione, cultura, equità territoriale e salute. Tutto questo dovrà tradursi in investimenti, trasformazione della pubblica amministrazione, ricerca, riforma del fisco, della giustizia e del lavoro. Insomma un programma che si proietterà come minimo da qui ai prossimi vent’anni e per il quale la politica purtroppo sembra impreparata.
Se una parte dei finanziamenti andrà in infrastrutture, nel superamento delle disuguaglianze territoriali, se nasceranno poli per la ricerca applicata all’agricoltura, interventi per l’edilizia, asili, ambiente, cosa significherà questo per Arezzo e la sua provincia? Siamo pronti?
Secondo me siamo indietro, perché manca un’idea di territorio, manca una prospettiva, quella per intendersi che molti anni fa consentì ad Arezzo la crescita del manifatturiero e un svolta epocale dall’agricoltura all’industria. Nei mesi passati ci sarebbe stato bisogno di un colpo di reni politico e istituzionale per mettere al lavoro le migliori energie di cui è dotata questa provincia: energie politiche, amministrative, imprenditoriali, culturali. A che scopo? Semplice, per indicare un calendario di priorità per il territorio dopo la pandemia. La verità è che è ormai manca a tutti l’audacia per far marciare le cose ben oltre i piccoli interessi di bottega. In questo il ruolo dei partiti sarebbe fondamentale, a loro il compito di studiare, approfondire, progettare il futuro al di là delle scadenze elettorali. Invece, ridotti a comitati elettorali, pensano già alle prossime elezioni, senza porsi il problema di quello che cresce intorno. Eppure, almeno a sinistra, di segnali precisi e inquietanti ne sono arrivati tanti: le ripetute disfatte nelle elezioni locali, la perdita dei parlamentari, la sconfitta in senso politico ed elettorale alle regionali. Si è assistito inerti ad una mutazione politica che, lo dico semplicisticamente, vede i poveri votare per la destra e i benestanti istruiti per la sinistra. E dalle nostre parti anche peggio, perché tante persone che sceglievano solitamente la sinistra oggi si rivolgono a destra con una virata di 180° che non è solo politica, ma culturale. Anche ad Arezzo sarebbe importante capire che la crisi non si risolve “moderando” ma innovando la politica, passando se necessario da strappi dolorosi Se così non sarà, accontentiamoci di quel che viene, sperando che Dio ce la mandi buona!

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