La seconda vita di Elea, il gigante intelligente dell’Isis di Bibbiena curato da Wladimir – Foto

L’ELaboratore Elettronico Aritmetico è il primo calcolatore commerciale a transistor completamente italiano, progettato dall’Olivetti alla fine degli anni ’50 e venduto in una quarantina di campioni. Uno di questi, un tempo di proprietà Monte dei Paschi di Siena, è passato in donazione dalla banca all’istituto tecnico casentinese. Un computer quasi leggendario, sia come prestazioni che per estetica, vincitore del prestigioso Compasso d’Oro come riconoscimento del suo design d’avanguardia. Ma le sorprese non finiscono qui, perché l’Elea di Bibbiena, oltre che completo, è anche l’unico quasi totalmente funzionante in Italia.

Il classico caso di scuola di un patrimonio d’eccellenza che in pochi conoscono e sarebbe imperdonabile lasciare ancora nell’ombra. O almeno è questo il tarlo nella testa di Luigino Tozzi. Olivettiano in pensione profondamente innamorato della sua azienda, è stato lui il motore di un progetto di valorizzazione a tutto tondo del supercomputer di Bibbiena che prenderà il via nelle prossime settimane. Come partner le scuole, le imprese, gli enti turistici e le istituzioni, locali e non solo. L’associazione Amici Olivetti Elea 9003, in via di fondazione ufficiale, radunerà al suo interno semplici appassionati e professionisti nel campo dell’informatica. Nomi come quello della Dr.ssa Elisabetta Mori, ricercatrice in storia dei computer alla Middlesex University di Londra.

Per il momento, a prendersi cura del colosso a transistor c’è Wladimir Zaniewski. Trentanovenne aretino, tecnico informatico e appassionato di retrocomputing, è una presenza familiare ai piani bassi dell’ISIS, dove quasi ogni settimana trascorre il sabato mattina. Il compito che svolge come volontario è quello di occuparsi della manutenzione ordinaria e riparare l’Elea un po’ alla volta, in comunicazione simultanea con i tecnici originari del macchinario, residenti all’estero o in Nord Italia. Una pedina fondamentale nello scacchiere della tutela del calcolatore olivettiano, su cui ci sarà occasione di tornare anche in futuro.

Nell’attesa dei prossimi sviluppi sul destino dell’Elea, una chiacchierata con gli esperti è un buon inizio per rimediare al tempo perduto.

Bianca: Perché ha ancora senso parlare dell’Elea 9003 oggi?

Elisabetta Mori: L’Elea fa parte della storia italiana dell’informatica. Abbiamo computer nelle nostre macchine, nei dispositivi medici che alcune persone devono indossare per la loro salute, non so quanti processori nel nostro cellulare…Una tecnologia che da essere enorme e occupare stanze molto grandi è diventata talmente piccola da essere ovunque.

Bianca: Questo supercomputer è un gioiello dell’informatica, ma anche oggetto di design premiato e innovativo.

Elisabetta Mori: Olivetti pensava che le macchine da calcolo non dovessero essere semplicemente funzionali ma anche belle, perché avrebbero progressivamente fatto parte dell’ambiente di lavoro. L’Elea poi doveva essere costantemente oggetto di manutenzione, perché guasti e malfunzionamenti erano all’ordine del giorno in tutti i computer di quegli anni. Chi doveva lavorare sulla macchina andava messo nelle condizioni di sostituire pezzi nel modo più veloce e semplice possibile. Tra i punti di forza del design dell’Elea c’è il fatto che desse la possibilità di aprire gli armadi come un libro e che si potessero sostituire le parti difettose molto facilmente. Ma anche che non fosse molto alto e si trovasse al centro della stanza, in modo che chi doveva operare intorno alla macchina poteva comunicare visualmente. Questi computer erano molto rumorosi, quindi parlare non era così semplice. In generale, è un oggetto che mette gli uomini che dovevano lavorarci sopra al centro della progettazione.

Bianca: Cosa vuole fare l’associazione che avete in mente di fondare?

Luigino Tozzi: In generale, promuovere e gestire attività culturali e formative legate all’Elea. Vorremmo raccogliere e ordinare della documentazione sia su questo computer che sulla cultura degli elaboratori elettronici. Ci piacerebbe anche organizzare mostre ed eventi collaborando con soggetti economici e turistici locali. E poi fare ricerche, pubblicazioni. Attraverso l’Elea, si può contribuire attivamente a promuovere il territorio. La nostra associazione nasce perché ci sono tante persone interessate a che questa macchina continui a vivere funzionante.

Bianca: Qualche anticipazione sulla tabella di marcia?

Luigino Tozzi: Nel novembre 2019 saranno 60 anni dall’uscita dell’Elea. Per quell’anniversario ho un sogno: organizzare un evento di portata nazionale, con base a Bibbiena ma collegamenti telematici con Pisa, Ivrea e Borgo Lombardo, tre località simbolo per la storia dell’Olivetti.

Bianca: Secondo lei qual è l’eredità più importante che ha lasciato l’Olivetti?

Luigino Tozzi: La capacità dell’azienda di proiettarsi nel futuro, valorizzando i suoi dipendenti, non legandoli a programmi vincolanti ma lasciandoli liberi di spaziare con la loro intelligenza e fantasia.

Elisabetta Mori: Le eredità sono tantissime, forse innumerabili. Mi posso limitare a quelle che ci ha lasciato nel campo dell’informatica. Ad esempio: l’IBM alla metà degli anni ʻ50 si rese conto che la sua immagine aziendale era molto poco interessante sia nei prodotti che nella grafica e, ispirata dall’Olivetti, la trasformò completamente. Alcuni dei computer degli anni ʻ60 non sarebbero stati così esteticamente belli, altrimenti. Oltre all’Elea, l’Olivetti ha realizzato anche la Programma 101, piccolo calcolatore da tavolo che permetteva a chi doveva fare calcoli scientifici o comunque impegnativi di ottenerli senza aver bisogno di tutta una serie di persone che mettessero in funzione una macchina enorme. Gli Stati Uniti lo capirono, infatti lì furono acquistate 40mila Programma 101.

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