Banca Etruria, una sentenza che pesa
La banca di Arezzo venne commissariata nel febbraio 2015 e sottoposta al decreto di “risoluzione” (una specie di fallimento pilotato) nel successivo mese di novembre, con la cancellazione delle azioni – in mano a circa 65mila soci – e delle obbligazioni subordinate (per un valore attorno ai 147 milioni di euro) in mano a circa 4.700 clienti privati. Obbligazioni subordinate poi, in gran parte risarcite, grazie a varie iniziative dei Governi che si sono succeduti in quegli anni. Nel novembre 2017 Banca Etruria venne acquisita da UBI Banca, a sua volta – nell’aprile scorso – assorbita da Banca Intesa Sanpaolo. Nel novembre 2015, una decisione che coinvolse il Governo, la Banca d’Italia e le Autorità europee, applicò per la prima volta nella storia italiana – in maniera anche anomala e addirittura con effetto retroattivo – il cosiddetto “bail-in”, una norma che prevedeva il salvataggio della parte buona della banca, ma con la cancellazione delle azioni e delle obbligazioni subordinate. Non si volle cioè accettare l’intervento del FITD – Fondo Interbancario per la Tutela dei Depositi, già pronto da tempo al salvataggio, perché considerato un improprio aiuto di Stato. Ed è stato proprio il presidente di questo organismo, Salvatore Maccarone, a ribadire – anche ad Arezzo nel marzo scorso – che invece Banca Etruria si poteva benissimo salvare. Ma la beffa è che la Corte di Giustizia Europea dichiarò nel 2019 che il salvataggio dell’Etruria da parte del FITD sarebbe stato più che legittimo, indicando la Commissione UE – guidata dalla danese Margrethe Vestager – come responsabile di una condotta completamente errata. A tal proposito, i commenti dopo la pronuncia della Corte UE furono di questo tenore, a carico della Commissione UE: grave errore di diritto, obbrobrio giuridico. La sentenza di ieri andrà valutata con calma e nei termini e nei tempi opportuni, con le motivazioni e tutto ciò che serve per farsi un giudizio completo, ma è già una sentenza che pesa, nella valutazione di quello che è stato o che avrebbe potuto essere. Alla luce della sentenza e ad un primo veloce giudizio, però, si torna all’inizio, a quello che dicevamo già nei drammatici giorni della “risoluzione”, che cioè il destino di Banca Etruria era stato deciso ad altri e più alti livelli: Unione europea, Consob, Banca d’Italia, scelte governative. Certo, la grave crisi economica del 2008, che colpì con violenza anche i nostri territori, provocò conseguenze fortemente negative in tutte la banche italiane, come anche in Banca Etruria, ma la nostra banca di Arezzo – che non stava peggio di altre – avrebbe potuto godere di una sorte meno violenta. E i clienti, i territori, la nostra città, i dipendenti tutti, non sarebbero stati colpiti così duramente e ingiustamente.
Tra le varie prese di posizione nelle ore immediatamente successive alla lettura della sentenza, riportiamo quella di Fabio Faltoni, responsabile provinciale della FABI, Federazione Autonoma Bancari Italiani e sindacalista nella ex Banca Etruria: “La FABI è sempre stata al fianco dei lavoratori dell’Etruria, portati sul banco degli imputati per colpe non loro; infatti, fin dai giorni successivi al famigerato decreto di “risoluzione”, gridavamo a gran voce che lo Stato avrebbe dovuto rimborsare tutto a tutti, senza eccezioni. Guardando lontano da Arezzo, ci sarà qualcuno al Governo che avrà ora il coraggio di chiedere le dimissioni della Commissaria Ue Verstager?“.