La scelta obbligata

Il massimalismo con le sue parole d’ordine può apparire una scorciatoia ma condanna alla dannazione eterna dell’opposizione.

Il riformismo è capire che la società italiana (e noi assieme a lei) è cambiata. Non è più quella di vent’anni fa dove ancora vigeva una netta separazione di ruoli, funzioni, status.

Oggi per parlare di due temi a mio avviso fondamentali come giustizia sociale e ambiente non sono sufficienti le parole d’ordine da gridare nelle piazze, ci vuole un linguaggio nuovo e soprattutto una inedita visione del mondo e del futuro.

La politica del Novecento è stata dominata dal binomio sinistra-destra che semplificava molto le questioni. La destra era conservatrice sul piano culturale e liberista sul piano economico.

La sinistra era progressista sul piano culturale e a favore dell’intervento dello Stato in economia per ridurre le disuguaglianze.

In questi anni molto è cambiato: abbiamo posizioni tradizionalmente “di destra” su temi “culturali” che si combinano con quelle di “sinistra” su temi economici. Un fatto che ha portato a un consenso diffuso per la destra nei ceti economicamente più disagiati e alla rottura della egemonia politica della sinistra in aree geografiche dove governava da anni.

Ma non è tutto. Alcune indagini hanno rilevato che nel cambiamento del voto, che ha caratterizzato le ultime tornate elettorali, hanno pesato in buona parte i fattori economici: in particolare la credibilità di partiti e leader nel tutelare il welfare e il lavoro, in altre parole al netto di argomenti importanti come l’immigrazione e i diritti civili, la domanda che emerge con forza dai comportamenti di voto appare essenzialmente una domanda di protezione economica che vale sia per i dipendenti che per i lavoratori autonomi. E l’approccio a questi temi non può che essere riformista, giacché non è con l’assistenzialismo di stato che si cambiano i rapporti sociali.

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