Csm, Roberto Rossi non confermato alla Procura di Arezzo. Fatale la consulenza su Banca Etruria col governo Renzi
Come ampiamente previsto, il plenum del Consiglio Superiore della Magistratura ha deciso di non riconfermare Roberto Rossi a capo della Procura della Repubblica di Arezzo: 16 voti contrari contro 4 favorevoli e 1 astenuto. Il voto era slittato di un giorno, ma l’esito appariva scontato, tenuto conto della relazione di Piercamillo Davigo e della posizione del Ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede. Palazzo dei Marescialli non ha ritenuto sufficiente, per una riconferma, il documento difensivo inviato lunedì scorso da Rossi.
Le norme sull’ordinamento giudiziario, prevedono che i ruoli di vertice in un ufficio devono, dopo 4 anni, essere confermati, per altrettanti anni, dal Csm, ma la bocciatura della riconferma di Rossi ad Arezzo, dopo la relazione di Piercamillo Davigo e le dichiarazioni del guardasigilli Alfonso Bonafede, negli ambienti giudiziari era nell’aria da mesi.
E nella riunione odierna l’esito è stato schiacciante: 16 voti contro 4 e un astenuto, la maggioranza assoluta della quinta commissione, quella degli incarichi direttivi. In base alla delibera – relatore appunto Davigo – Rossi avrebbe compromesso «il requisito dell’indipendenza da impropri condizionamenti», almeno «sotto il profilo dell’immagine». Vale qui la pena ricordare che tra le attività svolte dal procuratore della Repubblica c’è quella di dirigere l’ufficio, organizzandone l’attività ed esercitando personalmente le funzioni attribuite dalla legge al pubblico ministero. O le assegna, sulla base di criteri prestabiliti, agli altri magistrati addetti all’ufficio.
Nella “relazione Davigo“, a Roberto Rossi viene imputato di aver svolto un incarico al dipartimento affari giudiziari e legislativi della presidenza del consiglio in “conflitto d’interessi”, mentre indagava sul crac di Banca Etruria e quindi potenzialmente su Pierluigi Boschi, padre di un ministro del governo Renzi (Maria Elena) dal quale dipendeva il dipartimento stesso, di essersi auto assegnato le prime indagini sul dissesto Bpel e di non aver chiesto l’insolvenza della banca aretina, atto dovuto a seguito della relazione degli ispettori di Bankitalia. La consulenza al dipartimento affari giudiziari e legislativi della presidenza del consiglio, quindi, avrebbe minato la credibilità del procuratore di Arezzo. Per questi fatti era stato avviato un procedimento disciplinare, concluso con l’archiviazione, tanto che nell’estate del 2016 il Csm decise di non avviare la procedura di trasferimento per incompatibilità.
Rossi lunedì aveva inviato al Palazzo dei Marescialli una memoria in cui parlava di un «clamoroso e sconcertante travisamento dei fatti», arrivando a definire “anomalo l’intervento del potere politico: un ministro può intervenire sull’organizzazione dell’ufficio – sostiene – non su come vengono condotte le indagini“. Secondo Rossi, dunque, la decisione sarebbe “politica” e non puramente “tecnica”. E questa tesi, unitamente agli altri punti della memoria difensiva, potrebbe essere alla base del ricorso al Tar del Lazio che il capo della Procura di Arezzo si appresta a fare, con conseguente sospensiva dell’odierna votazione in attesa del pronunciamento dello stesso Tribunale. La conseguenza immediata sarebbe il suo reintegro a capo della procura della Repubblica di Arezzo. In mancanza di ricorso al Tar, Rossi resterebbe in procura come semplice sostituto, al suo posto il sostituto anziano Elisabetta Iannelli.