Procura di Arezzo, Roberto Rossi: attesa per la sospensiva, decide il Tar
Il ricorso di Roberto Rossi contro la decisione del plenum del Consiglio Superiore della Magistratura ricalca la memoria difensiva prodotta a ottobre scorso, in risposta alla relazione di Piercamillo Davigo, approvata con 16 voti a favore contro 4 e un astenuto, sostenuta dal Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. Questa votazione segnò la mancata riconferma di Rossi a capo della Procura aretina. Sarebbe stato il secondo mandato. Attualmente Rossi svolge il ruolo di sostituto procuratore, mentre quello di capo della Procura è stato affidato a Luciana Piras. Nel ricorso, gli avvocati di Rossi definiscono la decisione del plenum del Csm “ingiusta e contraddittoria“. Inoltre sussisterebbe una questione di tempi di non poco conto: nella fantomatica “relazione Davigo“, a Roberto Rossi viene imputato di aver svolto un incarico al dipartimento affari giudiziari e legislativi della presidenza del consiglio in “conflitto d’interessi“, mentre indagava sul crac di Banca Etruria e quindi potenzialmente su Pierluigi Boschi, padre di un ministro del governo Renzi (Maria Elena) dal quale dipendeva il dipartimento stesso, di essersi auto assegnato le prime indagini sul dissesto Bpel e di non aver chiesto l’insolvenza della banca aretina, atto dovuto a seguito della relazione degli ispettori di Bankitalia. La sua consulenza al dipartimento affari giudiziari e legislativi della presidenza del consiglio, quindi, avrebbe “minato la sua credibilità e quella della Procura di Arezzo“. Per questi fatti era stato avviato un procedimento disciplinare, concluso con l’archiviazione, tanto che nell’estate del 2016 il Csm decise di non avviare la procedura di trasferimento per incompatibilità. C’è un “ma“, secondo il ricorso al Tar degli avvocati di Rossi: “l’incarico di consulenza terminò il 31 dicembre 2015 e solo successivamente, a febbraio 2016, in seguito alla dichiarazione di insolvenza dell’istituto di credito, partirono le indagini della Procura di Arezzo“. Quindi, per Rossi, un «clamoroso e sconcertante travisamento dei fatti». Ai sensi dell’art. 55 “Codice del processo amministrativo”, i legali di Roberto Rossi hanno depositato al Tar del Lazio istanza di sospensiva con cui il ricorrente, dimostrando di avere subìto un pregiudizio grave e irreparabile, durante il tempo necessario a giungere alla decisione sul merito del ricorso, “richiede l’emanazione di misure cautelari finalizzate alla sospensione momentanea del provvedimento impugnato fino alla decisione del procedimento nel merito in modo da paralizzare il proprio pregiudizio“. Il pronunciamento, atteso entro metà febbraio, potrebbe portare al reintegro di Roberto Rossi a capo della Procura della Repubblica di Arezzo.