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mercoledì | 15-01-2025

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Fabio Migliorati, liquido e dentro l’arte: “Finora ad Arezzo niente di paragonabile ad Icastica”

Arezzo ha un doppio appuntamento con l’arte. Due diverse location del centro accolgono un bis di inaugurazioni. La Chiesa dei S.S. Lorentino e Pergentino si prepara ad ospitare fino al prossimo 3 febbraio un’antologia delle opere di Pino Deodato nella mostra dal titolo sPartiti. Il Palazzo della Provincia invece ha aperto le porte a Epopea del vero, dedicata all’arte di Aligi Sassu (da sabato al 27 gennaio 2019).

Due esposizioni scollegate fra loro che condividono però Fabio Migliorati, curatore di entrambe. Aretino, classe 1974, il suo curriculum parte da una laurea in Filosofia e passa per l’invenzione di Icastica, di cui è stato direttore artistico per tutte le 3 edizioni cittadine. Ora è curatore dell’Associazione Culturale Arezzo Ars Nova, che promuove la mostra di Sassu.

Bianca: Due eventi d’arte con il Natale alle porte. Solo una coincidenza?

Fabio Migliorati: È una strategia. La città deve vivere e l’associazione di cui faccio parte si prefigge di aiutare il processo di comunicazione che avviene attraverso la cultura. Per quanto riguarda l’amministrazione, è un discorso più turistico. Noi ci occupiamo di cultura, a volte è possibile che sfoci nel turismo; qualora non lo faccia, rimane cultura per apprendimento e crescita.

Bianca: Ci sono punti di contatto fra Deodato e Sassu?

Fabio Migliorati: No, i percorsi sono due e ben distinti, anche se si inaugurano a distanza di un’ora e mezza l’uno dall’altro. Pino Deodato è giovane, scolpisce, è un artista con spirito contemporaneo. Nel secondo caso si parla di una delle glorie dell’arte figurativa italiana che percorre gli anni ‘30 , ‘40, ‘50 fino agli anni ‘90, quando muore.

Bianca: Secondo lei l’atteggiamento di Arezzo verso l’arte contemporanea è cambiato dai tempi di Icastica? Cosa risponderebbe a chi commenta “se questa è arte ero bono anch’io”?

Fabio Migliorati: Con Icastica avevamo provato ad avanzare, facendo diventare Arezzo un bacino culturale contemporaneo e quindi di crescita per il presente. Adesso la città è regredita. Si fa cultura tanto per fare e soprattutto cultura spicciola, con autori provinciali, spesso locali. Quando non è così si tratta di artisti di mezza carriera, che non sono assolutamente paragonabili all’entità culturale che Icastica è stata. Adesso galleggiamo in un panorama culturale che ha decisamente la “c” minuscola. Icastica è morta, quel volto di Arezzo se n’è andato con lei. Proprio pensando a questa provocazione Bruno Munari, grande artista contemporaneo disse: “Se questa è arte, allora SAREI STATO capace anch’io”. Cambiando soltanto il tempo del verbo si dà significato a questa esternazione sfortunata e anche stupida, perché tutto ciò che c’è diventa un esempio quando è stato fatto da altri. Vuol dire che qualcuno ha avuto il coraggio e la profondità di mettersi in gioco e di concepire l’opera che viene poi criticata. “Se fossi stato capace, l’avresti fatto anche tu”, io risponderei così.

Bianca: La sua è una professione abbastanza rara. Quali sono i requisiti necessari per diventare un curatore d’arte?

Fabio Migliorati: A parte la preparazione che tutti possono acquisire, io penso che si debba in qualche modo stare “dentro l’arte”, cioè che si debba essere critici. Il mio mestiere è un non so che di liquido che si adatta spesso al presente che incontra, con la stessa decisione con cui il termine “contemporaneo” circola oggi nella nostra società. Noi chiamiamo arte contemporanea qualcosa che nasce da Cézanne in poi, ma fin dove arriva? Quella che definiamo “contemporaneità” è accaduta un secolo fa. Allora c’è da chiedersi: questo tipo di arte è contemporanea perché coeva a noi o perché è diversa dall’arte della tradizione? Su questa domanda io calco la professione del critico. Oggi tanti curatori non sono critici, perché il critico applica il proprio gusto e la propria dimensione del sapere a qualcun altro. Ma ce la deve avere. Invece spesso i curatori si occupano del lavoro degli altri senza guardare dentro se stessi, con poco o niente da offrire al pubblico. Un buon critico deve avere sempre la coscienza culturale di sé, è da lì che parte e si confronta con gli strumenti del contemporaneo. Non è mai solo semplice portavoce del sentire di altri.

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