Sarapino, ovvero di quando l’unico cavallo disponibile era l’ape – Foto
Qualcosa della giostra di Arezzo se ne va, qualcosa resta. A Civitella si ritrovano sia il buratto che i cavalieri, campioni dei quattro rioni del borghetto di collina. «Quando lo facevano i nostri nonni, negli anni ’50, questa suddivisione non esisteva, era solo un momento ludico pensato per divertirsi» continua il portavoce civitellino. I rioni sono una delle innovazioni apportate dal team dell’evento nel 2012, quando le carriere sull’ape sono tornate a solcare la piazza una volta l’anno. Gioco forza, Civitella non conosce la competizione litigiosa che contrappone i quartieri aretini. Marco è categorico sul punto: «qui siamo tutti amici, facciamo tutto insieme». La Veglia alle Armi di venerdì, per esempio, riunisce circa 400 abitanti nella stessa piazza dell’agone, seduti a tavolate confinanti per propiziare la lizza della domenica con una cena di paese. «C’è una condivisione piena. Anche quando i rioni organizzano serate durante l’anno, tutti partecipano a tutte le occasioni».
Ovviamente la macchina del Sarapino ha un costo e la raccolta fondi si svolge a puntate, con cene di autofinanziamento spalmate sui mesi precedenti. «Cominciamo a fare le prove da aprile in poi» puntualizza Marco.
«Il weekend prima della giostra ci concentriamo sul corteo dei figuranti e sul giuramento dei cavalieri, oltre che sulla provaccia. Il suo risultato può valere per assegnare la lancia d’oro se il Sarapino dovesse saltare per cause imprevedibili. Quella stessa sera viene rallegrata da spettacoli o video di sfottò goliardico ai rioni avversari».
Lo sterzatore, pilota dell’ape-destriero e figura chiave della sfida, finisce nella lista delle peculiarità di Civitella, mentre il parallelo con Arezzo torna sul trofeo in palio, la lancia di manifattura artigiana che qui si chiama Retribuet. Se i primi due giorni riempiono un cerimoniale che coinvolge soprattutto i residenti, alla giostra vera e propria la media di spettatori si aggira su un migliaio all’anno.
Tamburini, sbandieratori, armati insieme a tiratori di corda e una mangiatrice di fuoco, danno una piega medievale all’intrattenimento di contorno, affidato a compagnie e gruppi da fuori. Come si spiega questo taglio? Sempre Marco:
«Ci atteniamo a quello che ci hanno tramandato i nostri nonni, che a loro volta si rifacevano al Saracino di Arezzo, ambientato nel Medioevo. Loro dicevano che in paese l’unico cavallo disponibile era l’ape. Può sembrare anacronistico usare questo mezzo piuttosto che il cavallo, ma noi ci rimettiamo alla tradizione di chi ha inventato il Sarapino».
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