Ponte Buriano, Viscovo alla Cbs: “E’ il paesaggio della Gioconda visto da Leonardo a volo d’uccello”
Alle telecamere dell’emittente televisiva è apparso il Consigliere comunale Renato Viscovo, impegnato a raccontare gli anni di studio e documentazione forniti da vari storici dell’arte che nel tempo si sono susseguiti e distinti per le loro intuizioni sul paesaggio ritratto alle spalle della Gioconda.
Viscovo, attraverso lo spunto di “Leonardo e la terra di Arezzo”:
“I primi interventi critici sul paesaggio della Gioconda compaiono soltanto dopo la prima metà dell’Ottocento e riservano ad esso un’attenzione ed un’importanza non inferiore a quella del ritratto. Nel 1933, Maria Teresa Dromard Mairot annotò che il pittore, «tornato a Firenze, aveva guardato negli occhi la magia dei luoghi dell’Italia del Nord, facendo seguire una lunga descrizione della Val di Cadore e dell’Isonzo corrispondente alla parte montuosa del paesaggio. Prima di Leonardo, i pittori italiani eseguono i ritratti di profilo o frontali, con il busto a tre quarti e con le mani che sostengono un oggetto o sono congiunte in preghiera, mentre il paesaggio si ferma all’altezza del collo ed il volto si libra in cielo. Nella stessa epoca i fiamminghi fanno salire il paesaggio ancora più in alto e spesso gli consentono di occupare la totalità dello sfondo. Charles de Tolnay sviluppò, nel 1952, questa osservazione sostenendo che nello sfondo si trovano due paesaggi. Il primo, fermandosi secondo la tradizione italiana all’altezza del collo e rappresentando il mondo abitato dagli uomini, risulta molto vicino ai paesaggi di Alesso Baldovinetti (Natività; La Vergine in adorazione del Bambino) e di Antonio del Pollaiolo (Il ratto di Deia-nira; Il martirio di San Sebastiano), con strade e fiumi serpeggianti. Da tutto ciò si potrebbe immaginare e dedurre che il primo paesaggio, e soltanto il primo paesaggio, sia toscano, mentre il secondo risulterebbe una rievocazione dei luoghi alpini. Ancora, nel 1967, Angela Ottino Della Chiesa affermava con convinzione che questo paesaggio «non è lungo le rive dell’Arno, ma in Lombardia, nell’atmosfera autunnale densa di brume», dove indirizzerebbe la vaga somiglianza con certi disegni di Leonardo, che ripropongono la campagna dell’Adda, all’uscita del lago di Lecco. Nel 1995, una mostra fotografica, allestita con tanto di catalogo al Castello Sforzesco, mostrava, sulla filigrana di certe indicazioni già fatte da Francesco Malaguzzi Valeri,’ il ponte della Gioconda con caratteristiche simili a quello che Azzone Visconti aveva fatto costruire sull’Adda, nel 1338, mentre considerava che, le vette descritte oltre la destra della dama, riproducevano le cime frastagliate della Grigna, che sovrasta Mandello Lario. Si è voluto anche pensare che lo sfondo della Gioconda sia stato realizzato in due tempi: Leonardo avrebbe dapprima dipinto il paesaggio toscano, che si ferma all’altezza del collo come si ritrova in un disegno a penna e inchiostro di Raffaello, oggi al Museo del Louvre (Ritratto di fanciulla al balcone), indiscutibilmente eseguito nel 1504, dopo uno studio sulla Gioconda a Firenze, o nella Maddalena Doni (Firenze, Palazzo Pitti) e nella Dama col liocorno (Roma, Galleria Borghese) sempre di Raffaello, eseguiti tra il 1504 e il 1506. Qui, nelle due mezze colonne ai lati, nelle mani incrociate e nel relazionarsi della figura con l’osservatore, si ricalca puntualmente ed in modo inequivocabile, per la straordinaria novità rispetto alla pratica ritrattistica moderna e fiorentina, l’impianto compositivo leonardesco, ravvisabile altresì in un certo numero di «Gioconde», attribuite a Leonardo o ai suoi collaboratori, quale quella del Prado a Madrid e di Isleworth in Gran Bretagna. Invece il supposto paesaggio lombardo, nella parte alta del quadro, sarebbe stato aggiunto in un secondo momento. Ma questa ultima considerazione urta con una precisa obiezione, che insorge dal modo di operare e dalla assoluta novità del concetto di spazio in Leonardo: il paesaggio è visto a volo di uccello e forma pertanto un insieme coerente sul piano geomorfologico.
Questa continuità perfetta vuole che esso sia stato dipinto in un solo sussulto dell’anima e dunque dopo il ritratto della donna, tra il 1503 ed il 1504, nello studio di Firenze, allorchè Leonardo poté avvalersi di schizzi, bozzetti o richiamò alla memoria quelle recenti suggestioni, che gli erano state provocate dall’esperienza in terra di Arezzo, per realizzare un «retracto al naturale», diverso da quelli senza vita della tradizione italiana e fiamminga. Il paesaggio, visto a volo d’uccello, consente di affermare che Leonardo percorse con vivo interesse questo territorio, rappresentato nelle citate carte di Windsor e compresso verticalmente in una potente sintesi unitaria e coerente sul piano geomorfologico, atto a suggerire un’ascensione nello spazio e nel tempo, per dare fondamento visivo al concetto di cosmogenesi, alla creazione del mondo nella sua preistoria più remota dove, all’alito divino biblico, si sostituisce una forza cinetica interna alla materia che, insieme all’acqua e al tempo, si fa responsabile della sua animazione e trasformazione. L’impianto figurativo è sostenuto da una visione circolare portata a termine dal braccio della donna attraverso un ponte, il Ponte di Buriano, situato in un particolare tratto dell’Arno nelle vicinanze di Arezzo, la cui immagine si amplificava e si rendeva ancor più vibrante nella mente di Leonardo, per l’intensità descrittiva contenuta nei sublimi versi della Commedia. Il ponte, destinato a veicolare sul piano simbolico l’eterno legame tra mondo divino e mondo terreno, tra piano umano e piano naturale, trasmetteva l’idea della continuità di uno sviluppo fenomenico che, iniziato nel più remoto passato, continuava con energia immutabile ad operare nel tempo presente. Storicamente, il Ponte di Buriano risulta uno degli esempi architettonici più significativi e più importanti che il Medioevo ci abbia consegnato, senza aver subito manomissioni di rilievo. La sua costruzione, come quella iniziale del Duomo nuovo e del Palazzo del Popolo, risale al 1277, quando era vescovo di Arezzo Guglielmino degli Ubertini e la città attraversava un tale periodo di splendore e di prosperità economica da conservare, per le figure di Guittone, Ristoro, Margarito il primato culturale in Toscana. Il ponte, a schiena d’asino e di stile romanico, con le sue potenti arcate a sesto ribassato e di luce diversa, dove il raggio mediano della centrale costituisce asse di simmetria del complesso, si proietta con originalità ed armonia, per i volumi pieni e vuoti, tra le sponde dell’Arno. Su di esso giungeva una delle più importanti vie consolari, la «Cassia Vetus» che, giungendo da Roma e raccordando Arezzo con Firenze, assegnava al ponte un’importanza strategica sia per le attività commerciali come per le operazioni militari, in quanto eliminava lunghe soste e faticose deviazioni in caso di alluvione. La raffigurazione del ponte nello sfondo della Gioconda rispecchia il gusto per il dettaglio e per il particolare, poiché Leonardo, riproponendone un’immagine dal profilo leggermente arcuato, impianta il muro andatore di innesto delle arcate proprio sulla sponda destra dell’Arno e raffigura le arcate stesse con luce diversa, mentre riduce il loro numero rispetto alla realtà, perché visibilmente coperto dalla spalla sinistra di Monna Lisa. Anche l’importanza del muro andatore risulta ben evidenziata poiché, essendo questo parallelo al ponte, aveva la funzione di contenere la spinta del terrapieno, della massicciata e al tempo stesso di tener rialzato, in caso di massima piena, il piano stradale. La differenza della luce degli archi, variabile dai 20 ai 16 metri, sarebbe imputabile alle robuste travi, più o meno lunghe, impiegate per l’impalcatura. La forma imponente ed armoniosa del manufatto attrasse, circa 80 anni dopo, anche l’attenzione di Michel Eyquem de Montaigne (1533-1592) che, percorrendo l’Italia, dopo una sosta all’osteria del Ponte di Buriano, lo definì nel suo Diario di viaggio, pubblicato soltanto nel 1774, «un lunghissimo e bel ponte di pietra». D’altro canto la raffigurazione del manufatto è corrispondente alla realtà, poiché la profondità del campo visivo rispetta i principi della prospettiva e ripropone le proporzioni del Ponte facendo presumere una distanza visiva di oltre 2 Km dal punto di osservazione. Tale punto di osservazione, in base alla ricostruzione digitale in prospettiva aerea della stessa volumetria del ponte e della orografia circostante, desunta dalla carta topografica della Regione Toscana in scala 1:5000, risulta individuabile nel castello di Quarata (a 70 m di altezza rispetto all’alveo dell’Arno), dove si trovava il quartier generale di Vitellozzo Vitelli e che Leonardo disegnò nelle mappe di Windsor.
Di qui si coglie la stretta analogia ed una coincidenza più che persuasiva, se non altamente probatoria, pur nella trasposizione pittorica, tra il corso dell’Arno, il dilagare in esso della Chiana, la posizione e la configurazione Stessa del Ponte, con le arcate di luce diversa e con il muro andatore collocato proprio sulla sponda destra dell’Arno, nonché la svolta a destra compiuta dal fiume maestro, poco dopo il ponte, sotto lo sperone di Monte Sopra Rondine.
Il confronto culturale, in ogni ambito, troverà sempre delle risposte positive e prevalenti su teorie non culturalmente e storicamente basate. Oggi ne è la prova schiacciante”.
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