Arezzo in festa per la Madonna del Conforto. L’Arcivescovo Gambelli sul fine vita: “Non è un traguardo, ma una sconfitta per tutti”
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In Cattedrale celebrazioni si susseguono per tutta la giornata. Stamani la Messa Pontificale celebrata da mons. Gherardo Gambelli, arcivescovo metropolita di Firenze, per la prima volta accolto da Arezzo. Alle 18 è invece in calendario la messa solenne presieduta dal vescovo Andrea Migliavacca, poi la squadra dell’Arezzo calcio, che ha l’immagine della Madonna nella divisa, alle 21.30 l’omaggio della Giostra del Saracino con i quattro quartieri, gli Sbandieratori di Arezzo, dal Gruppo Musici e dall’associazione Signa Arretii.
Mons. Gambelli, nella sua omelia, ha toccato un tema di grande attualità, quale quello della Legge sul fine vita, esprimendo “preoccupazione riguardo a leggi che sanciscono il diritto alla morte, definendole una sconfitta per tutti. Ha ribadito che la priorità dovrebbe essere la protezione della vita, dal suo inizio fino al termine naturale, garantendo a tutti un’esistenza dignitosa. “La vita e non la morte è un bene, non si può essere convinti del contrario!“, ha affermato con forza.
L’arcivescovo metropolita di Firenze, mons. Gherardo Gambelli, durante l’omelia, ha ricordato il miracolo all’origine della festività, in cui un’immagine della Vergine Maria divenne improvvisamente pulita e splendente senza intervento umano. Questo evento, ha sottolineato, ci invita a credere che il più grande conforto risiede nell’accogliere la grazia di Dio e lasciarsi trasformare da essa, diventando portatori di speranza nel mondo.
Mons. Gambelli ha esortato i fedeli a mettersi in ascolto della Parola di Dio per trovare motivi di speranza e a continuare a generare la presenza di Gesù nel mondo, diventando membri attivi della sua famiglia. Ha poi rivolto un pensiero particolare ai malati, specialmente quelli terminali, e alle loro famiglie, evidenziando l’importanza di alleviare la solitudine e il dolore attraverso un migliore accesso alle cure palliative e agli hospice. Contrastare il senso di abbandono che spesso conduce alla disperazione è, secondo il presule, un vero segno di amore, cura e rispetto per il diritto alla vita.
Mons. Gambelli ha inoltre sottolineato l’importanza di accogliere Maria nelle proprie case, comunità e parrocchie, affidandole il cammino di conversione sinodale e missionaria. Ha invitato tutti a donare con gioia, ricordando che Dio dona gioia a chi ama. Ha concluso con una preghiera: “Santa Maria del Conforto, aiutaci ad accogliere l’abbraccio del Padre, la consolazione dello Spirito Santo e l’intima comunione con Gesù tuo Figlio, affinché possiamo sperimentare quell’abbondanza di gioia promessa a coloro che sono pronti a rendere ragione della speranza che è in loro”.
Il testo completo dell’omelia di mons. Gherardo Gambelli, arcivescovo metropolita di Firenze
Celebriamo la festa della Beata Vergine Maria del Conforto in questo anno santo del Giubileo della speranza. Il miracolo che sta all’origine di questa festa di un’immagine della Beata Vergine Maria diventata istantaneamente pulitissima e splendente senza intervento umano ci invita a credere che il più grande conforto consiste nell’accogliere la grazia di Dio e a lasciarsi trasformare da essa per diventare uomini e donne di speranza nel nostro mondo. Sant’Agostino dice che Maria è stata più grande come discepola che come madre di Gesù. Lei stessa con la sua intercessione ci ricorda la parola del suo Figlio: “Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli? Chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre” (cf. Mt 12,48-50). Ci mettiamo in ascolto della Parola di Dio ben sapendo che in essa noi possiamo trovare le ragioni per sperare, continuando in qualche modo a generare Gesù nel nostro mondo, diventando madre, fratello, sorella, membra della sua famiglia. Possiamo riflettere sulle letture della Messa di oggi soffermandoci su tre immagini che ci vengono suggerite.
La prima è quella di un abbraccio. Nell’ultima parte del libro di Isaia il Signore invita il popolo di Israele a sperare presentandosi come un madre che allatta e accarezza il figlio tenendolo sulle ginocchia: “Voi sarete allattati e portati in braccio, e sulle ginocchia sarete accarezzati. Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò; a Gerusalemme sarete consolati”. Leggendo questo testo del profeta alla luce del Nuovo Testamento il verbo “consolare” ci fa pensare all’azione dello Spirito Santo, il Paraclito, il Consolatore che viene in aiuto alla nostra debolezza e che ci aiuta a riconoscere Dio come un padre con cuore di madre (cf. Gal 4,6).
Consolazione e conforto sono la considerazione che chiedono tanti malati, anche quelli terminali e i loro familiari. Alleviare solitudine e dolore delle persone che soffrono, migliorare l’accesso alle cure palliative e agli hospice, contrastando il senso di abbandono che conduce spesso alla disperazione è segno vero di amore e cura, di rispetto del diritto alla vita. Una legge che sancisce il diritto alla morte, quindi, non è certo un traguardo, ma una sconfitta per tutti. La priorità non può essere come si deve morire, ma proteggere la vita dall’origine sino al suo termine, e garantire a tutti fino alla fine un’esistenza dignitosa. La vita e non la morte è un bene, non si può essere convinti del contrario!
La seconda immagine è quella di una casa che troviamo nel Vangelo. “Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: “Donna, ecco tuo figlio!”. Poi disse al discepolo: “Ecco tua madre!”. E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé”. La vecchia traduzione della Cei diceva: “E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa”. Il testo greco utilizza qui l’espressione (eis ta idia) che potremmo tradurre “nella sua intimità”, mettendo l’accento su un legame di appartenenza. La stessa parola si ritrova nel capitolo 10 di Giovanni per evidenziare la differenza fra il vero pastore che chiama le sue pecore (ta idia próbata) ciascuna per nome e le conduce fuori e il mercenario al quale le pecore non appartengono (ouk éstin ta próbata idia) che fugge quando vede venire il lupo. Il discepolo amato rappresenta ognuno di noi oggi, invitati ad accogliere Maria nelle nostre case, nelle nostre comunità, nelle nostre parrocchie. A lei affidiamo in particolare il nostro cammino di conversione sinodale e missionaria. Papa Francesco nella parte finale dell’esortazione Evangelii Gaudium parla di uno stile mariano dell’evangelizzazione: “Vi è uno stile mariano nell’attività evangelizzatrice della Chiesa. Perché ogni volta che guardiamo a Maria torniamo a credere nella forza rivoluzionaria della tenerezza e dell’affetto. In lei vediamo che l’umiltà e la tenerezza non sono virtù dei deboli ma dei forti, che non hanno bisogno di maltrattare gli altri per sentirsi importanti. Guardando a lei scopriamo che colei che lodava Dio perché «ha rovesciato i potenti dai troni» e «ha rimandato i ricchi a mani vuote» (Lc 1,52.53) è la stessa che assicura calore domestico alla nostra ricerca di giustizia” (EG 288).
L’ultima immagine è quella di un’abbondanza presente nella prima lettura: “Ecco io farò scorrere […] come un torrente in piena la gloria delle genti” e nella seconda lettura: “Come abbondano le sofferenze di Cristo in noi, così per mezzo di Cristo abbonda anche la nostra consolazione”. Il tema dell’abbondanza è ripreso da san Paolo in un celebre testo della Seconda Corinzi: “Tenete presente questo: chi semina scarsamente, scarsamente raccoglierà e chi semina con larghezza, con larghezza raccoglierà. Ciascuno dia secondo quanto ha deciso nel suo cuore, non con tristezza né per forza, perché Dio ama chi dona con gioia” (2 Cor 9,6-7). Il Signore ama chi dona con gioia, ma potremmo aggiungere anche che Egli dona la gioia a chi ama.
C’era una volta un beduino che possedeva 11 cammelli. Aveva tre figli. Alla sua morte i figli aprono il testamento e trovano queste disposizioni: “Lascio la metà dei miei cammelli al primo figlio; un quarto al secondo; un sesto al terzo”. Ma 11 non è divisibile per 2, così il primo figlio chiede di avere 6 cammelli. Ovviamente gli altri non sono d’accordo. E inizia una lite furibonda. Già stanno per tirare fuori i coltelli. In quel momento passa di lì un beduino, sente le urla, si ferma, chiede spiegazioni. Sentiti i problemi decide di donare il suo cammello. Così 11+1 fa 12; 12 diviso 2 fa 6; 12 diviso 4 fa 3; 12 diviso 6 fa 2. 6+3+2 fa 11. Tutti sono soddisfatti. Il beduino si riprende il suo cammello e prosegue il viaggio. Il racconto ci insegna due cose: chi dona non ci perde e, soprattutto, ci vuole un dono perché la giustizia avvenga.
Santa Maria del Conforto aiutaci ad accogliere l’abbraccio del Padre, la consolazione dello Spirito Santo, l’intima comunione con Gesù tuo Figlio, perché possiamo così fare esperienza di quell’abbondanza di gioia promessa a tutti quanti sono pronti a rendere ragione della speranza che è in loro”.
La Madonna del Conforto. 15 febbraio, ad Arezzo, si venera una figura mariana di straordinaria importanza: la Madonna del Conforto. Un’icona di fede, speranza e protezione per i cittadini aretini, la sua storia affonda le radici in un evento miracoloso che ha segnato profondamente la comunità. La storia della Madonna del Conforto inizia nel 1796, in un periodo di grande paura e incertezza per la popolazione a causa di eventi naturali disastrosi e tensioni politiche. La tradizione narra che in una cantina umida e buia, situata presso il Duomo Vecchio di Arezzo, fosse conservata una piccola immagine in ceramica della Vergine Maria. Era annerita dal tempo e quasi dimenticata, fino a quando, il 15 febbraio 1796, accadde qualcosa di straordinario: la sacra immagine si illuminò improvvisamente, risplendendo di una luce intensa e inspiegabile. Questo evento fu interpretato come un segno divino di conforto per gli aretini, che in quel periodo stavano affrontando il pericolo di una serie di forti terremoti. Il popolo, testimone di questo prodigio, si radunò in preghiera e ben presto il fenomeno venne riconosciuto ufficialmente dalla Chiesa. Da allora, la Madonna del Conforto è divenuta la patrona speciale di Arezzo e protettrice della città nei momenti di difficoltà. Ogni anno, il 15 febbraio, Arezzo si veste a festa per onorare la sua celeste protettrice. La celebrazione è un evento molto sentito dagli aretini e richiama numerosi fedeli da tutta la Toscana. La solenne cerimonia religiosa si svolge nella Cattedrale di San Donato, dove l’icona miracolosa è custodita in una cappella a lei dedicata. I festeggiamenti prevedono messe solenni, processioni e momenti di preghiera, durante i quali la città si raccoglie attorno alla Vergine per chiedere protezione e ringraziarla per la sua intercessione. Un momento particolarmente suggestivo è l’accensione di migliaia di candele votive, che illuminano il Duomo e le strade circostanti, creando un’atmosfera di intensa spiritualità. Oltre alla celebrazione annuale, la Madonna del Conforto rappresenta un punto di riferimento costante per gli abitanti di Arezzo. Nei momenti di difficoltà, gli aretini si rivolgono a lei con fiducia, certi della sua protezione. La sua immagine è presente in molte case e attività della città, segno di un legame che va oltre la semplice devozione religiosa. Il messaggio che questa figura mariana porta con sé è universale: un invito alla speranza, alla fede e al conforto nelle difficoltà. Non è solo un simbolo religioso, ma anche un richiamo all’unione e alla solidarietà di una comunità che, da oltre due secoli, trova in lei una guida luminosa. Che si sia credenti o meno, la storia della Madonna del Conforto rimane un racconto affascinante di fede e di miracoli, una testimonianza di come la spiritualità possa diventare un faro nei momenti più bui della vita.