Giorno del Ricordo e memoria spezzata
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Il “Giorno del Ricordo” in memoria delle vittime delle foibe, dell’esodo Istriano, Fiumano, Giuliano e Dalmata, dovrebbe unire e invece, ancor oggi continua a dividere.
Per alcuni quanto accadde al confine orientale è stata una “reazione” alle stragi perpetrate dalle truppe di occupazione italiane in Iugoslavia. «Non si ammazza abbastanza!», urlò il generale Mario Robotti rivolto ai suoi soldati. E di massacri ne abbiamo fatti, tutti impuniti… domandiamoci perché.
Per altri, quelle vittime e l’esodo forzato, sono diventati un pretesto per non fare i conti col passato. Il passato può essere rivisto ma qualunque rivisitazione non significa cancellare le colpe.
Con questi presupposti non potrà mai esservi una memoria condivisa e le vittime continueranno ad essere strumentalizzate, in un senso o nell’altro, in un infinito rimpallo di torti e responsabilità che ne ottenebra il ricordo e lo deforma.
Non possiamo permetterlo! Per troppo tempo, le foibe e l’esodo sono stati dimenticati. Era il prezzo da pagare ad una Iugoslavia che aveva rotto con il blocco sovietico.
Oggi possiamo dire, senza tema di smentita, che le foibe furono una strage, talvolta incontrollata ma, in moltissimi casi, frutto di un progetto pianificato.
Milovan Gilas, che fu il braccio destro di Tito, ha scritto: «Nel 1945 io e Kardelj fummo mandati in Istria. Era nostro compito indurre tutti gli italiani ad andar via con pressioni di ogni tipo. E così fu fatto». L’obbiettivo era rafforzare sul tavolo delle future trattative di pace le pretese di sovranità iugoslave su quelle terre dimostrando che l’elemento italiano non era maggioritario.
Da qui, se non vogliamo continuare in eterno questa danza macabra sui morti e sulle reciproche crudeltà, l’esigenza di una lettura storica e non politica delle foibe e dell’esodo.
Esse non rappresentarono solo l’esplosione di una rabbia a lungo repressa ma furono parte di un programma di “pulizia etnica” che colpì l’Europa all’indomani della fine della seconda guerra mondiale.
Nessuno lo dice ma in quel 1945 milioni di tedeschi furono costretti a fuggire dalla Polonia, dalla Cecoslovacchia, dall’Ungheria, dall’Olanda e dalla stessa Iugoslavia, e migliaia di ungheresi furono espulsi dalla Transilvania. La storia non è mai tenera con gli sconfitti e noi quella guerra, checché se ne dica, l’abbiamo persa.
Questo per dire che la tragedia che oggi ricordiamo vive dentro la storia e le divisioni di parte sono soltanto maschere dietro cui nascondiamo la nostra viltà. Le vittime dei genocidi, in qualsiasi momento o luogo, hanno diritto ad uguale dignità, rispetto e pietà.