Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors

martedì | 29-04-2025

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors

Il Vescovo Riccardo ha celebrato la Messa di Natale in Cattedrale: “Festa del nuovo possibile”

Nel silenzio che rievochiamo in questa notte Santa, a Betlemme, in una grotta, è nato Gesù. Una nascita. Ogni nascita è l’avvio del nuovo. Un bambino che arriva è comunque un evento, un valore che apre una storia nuova. Il bambino di Betlemme è figlio di Dio. Anzi è irruzione di Dio nella storia dell’uomo. Gesù ha voluto essere nostro fratello. Rallegriamoci dunque, perché Dio si è fatto vicino. Dio non abbandona nessuno, neanche questa generazione” , con queste parole – pronunciate all’inizio dell’omelia della Santa Messa di Natale di mezzanotte, celebrata in Cattedrale – S.E. mons. Riccardo Fontana ha espresso il significato profondo del Natale, che “si comprende nell’intera vicenda che coinvolge il Cristo: dall’Annunciazione dell’Angelo a Maria, alla prescrizione data da Gesù alla Chiesa, il giorno dell’Ascensione, sul Monte, perché il Vangelo venisse predicato”.

Il recupero della gente umana, l’uomo nuovo è possibile, attraverso la via dell’umiltà, la scelta di servizio che Dio ci propone in questa notte. L’onda lunga di quella vicenda di Betlemme giunge fino a noi e ci coinvolge. Per questo – ha detto ancora il vescovo Riccardo – siamo venuti nel cuore della notte nella Chiesa madre tra le parrocchie aretine: è come dire: ”eccomi, ci sono anch’io, anche se mi vedete quando posso”.

E’ la notte dell’accoglienza dei fratelli venuti dalla città dell’uomo – ha continuato l’Arcivescovo -, dalle varie storie di pensiero e di orientamento politico; della gente che è qui e ci dà gioia rivedere”.

Non è mancato un riferimento all’attualità dei tempi che viviamo (“questa Chiesa, dal bambino di Betlemme è chiamata a misurarsi con il nuovo che avanza), nella certezza che “la stessa Chiesa ha la vocazione di riaccendere la speranza di molti” e che “dalla complessità del presente si può uscire. La Grazia già ci è data ed è il bambino di Betlemme: la nostra risposta è il proposito di andare avanti”.

“Tra le prove della vita, di questo mondo globalizzato, vi è la tentazione dell’indifferenza, del rifugiarsi nel privato, del pensare a sé ancora il vescovo Riccardo –. Ma un bambino che nasce, soprattutto il Bambino Gesù, è fonte di gioia e ci coinvolge”.

Ed allora, ha detto il vescovo Riccardo, “non vogliamo fare come la moglie di Lot, che uscendo dalla città del peccato, a son di voltarsi indietro, diventò di sale. Perse le sue sembianze di persona viva e si dissolse nel nulla. Un poco di sale dà sapore alle cose, una persona che diventa solo sale, con i rimpianti del passato non è utile per gli altri. Anche questa Chiesa italiana, se seguita a guardarsi indietro, è come chi, entrando in autostrada, sbaglia il senso di marcia: è pericoloso per sé e per gli altri”.

E’ utile ricordarci in questa notte santa la parola dell’Angelo della resurrezione: il Signore ci “precede in Galilea”, cioè cammina avanti a noi per spianarci la strada del quotidiano che ci attende. “Ai pellegrini della notte di Natale – ancora il vescovo – giova dire coraggio, ci sono io, non abbiate paura, il Signore non ci abbandona. Questo andarono a dire gli Angeli ai pastori: Chi capì si mosse, si mise in cammino”.

L’idea di Dio che molti si sono costruiti fin dall’infanzia rischia di non corrispondere al Dio vero della Bibbia – ha proseguito il vescovo Riccardo -. Il culmine della Rivelazione è una storia a tutti nota: Betlemme è il segno del progetto di Dio, abbassarsi al nostro livello per salvare tutti. L’angelo Gabriele è mandato a Maria perché scelga o meno di collaborare con Dio. Il suo fiat fu pieno di rischio, come ogni nostra scelta fondamentale di vita. L’Ancilla Domini si fida di Dio, si riconosce come persona della sua casa. Per fortuna che c’è Giuseppe che protegge e risolve in questo cammino controcorrente. Vanno a Betlemme, la città di lui. I parenti neppure li accolgono. Ma Giuseppe trova una grotta dove Maria possa partorire. Anche Gesù ha avuto bisogno dei vestiti usati, come ancor oggi i poveri della terra. Dio ci chiede aiuto, ma chi è che lo aiuta?”.

Erode, il re cattivo, fece uccidere gli innocenti. Ma non fu il solo a macchiarsi di questo crimine. Ancora Giuseppe provvede, ascoltando gli angeli, per quella via del mare, oggi striscia di Gaza, portò in salvo Gesù e Maria, rifugiati, poveri, senza null’altro che la capacità di lavoro di Giuseppe. Poi la povertà della casa di Nazareth, cantata da Paolo VI: il silenzio, l’armonia e l’amore valgono più delle ricchezze del mondo. Ormai adulto, Gesù inizia il nuovo Esodo, camminando di villaggio in villaggio per annunziare il Vangelo e sanare il dolore umano. Tutti percepiscono l’intervento di Dio e chiamano miracolo i gesti di liberazione che il Cristo compie a favore di chi è nel bisogno”.

Il coraggio di Gesù nella Passione, non più duro che l’umile abbassamento del Presepio – ha continuato il vescovo -. E’ quel coraggio che lo fa vicino a tutti quelli che, in ogni epoca, sono innocenti vittime della violenza e della prepotenza che discrimina e bada solo alla soddisfazione di sé. Il Libro della Genesi così aveva già descritto ogni storia di peccato: violenza, concupiscenza e discriminazione avvelenano la storia. La via dell’umiltà salva: la meditazione del Natale porta a vedere Gesù”.

L’omelia si è concluso con un ulteriore riferimento all’attualità, nella fattispecie all’Unione europea, e a tutti coloro che si occupano della ‘cosa pubblica’: “La via dell’umiltà permise a tre grandi cattolici di ricostruire l’Europa dilaniata dalla terribile Guerra Mondiale, Alcide De Gasperi, Robert Schumann, e Konrad Adenauer: il loro metodo fu la pazienza senza prevaricazione. Convinsero sognando la collaborazione tra i popoli. Forse come i pastori del presepio, dobbiamo anche noi ritrovare l’umiltà di costruire e non distruggere, di parlare alle coscienze e non all’istinto. Per chi guida la cosa pubblica noi preghiamo stanotte che la lezione del presepe sia di ispirazione forte. Dio salva, ma a noi chiede di cambiare il cuore e trasformare l’arroganza in sentimenti di pace e di concordia”.

Ancora: “ogni esperienza umana per cambiare il mondo è faticosa, piena di salite e discese e di tanto impegno, aldilà delle delusioni e dei successi”.

Infine un invito rivolto a tutti: “Questa è la notte dei propositi. Ciascuno scruti se stesso. In interiore homine habitat veritas, diceva Agostino. Se vuoi davvero metterti in moto a cercare Dio, guardati dentro. Gli altri forse non ti conoscono, ma a te è dato accesso alla tua coscienza. Rimuovi il male e avvia il bene. Questo è il modo con cui Dio recupera noi peccatori nella verità di ogni storia personale”.

Il 25 Dicembre, giorno della solennità di Natale, mons. Fontana presiederà la Messa solenne in Cattedrale a partire dalle ore 10.30; nel pomeriggio, il presule sarà a Sansepolcro per celebrare alle ore 18 la Messa vespertina di Natale.

Il 26 dicembre l’Arcivescovo sarà ancora in Val Tiberina, a Pieve Santo Stefano per festeggiare – nella chiesa che porta il nome del Protomartire Stefano – questa solennità alle ore 11.

Infine il giorno seguente, domenica 27 dicembre, il Pastore della nostra diocesi presiederà alle ore 18 una Messa solenne nel Duomo biturgense per celebrare la festa della dedicazione della Concattedrale di San Giovanni Evangelista a Sansepolcro.

Natale 2018 +++ Messa di Mezzanotte

Omelia dell’Arcivescovo in Cattedrale

Fratelli e Sorelle nel Signore:

Dio ci dia la pace annunziata dagli angeli

ai pastori di Betzaur presso Betlemme!

  1. Natale come occasione di rinascita, festa del nuovo possibile.

Nel silenzio che rievochiamo in questa notte Santa, a Betlemme, in una grotta, è nato Gesù. “Nell’anno decimoquinto dell’impero di Tiberio Cesare[1] Maria di Nazareth dette alla luce il suo figlio unigenito, concepito per opera dello Spirito Santo.

     Una nascita. Ogni nascita è l’avvio del nuovo. Un bambino che arriva è comunque un evento, un valore che apre una storia nuova. Il bambino di Betlemme è figlio di Dio. Anzi è irruzione di Dio nella storia dell’uomo. Gesù ha voluto essere nostro fratello. Rallegrati dunque, o cristiano, perché Dio si è fatto vicino[2]. Dio non abbandona nessuno, neanche questa generazione.

Il senso della Nascita a Betlemme si comprende nell’intera vicenda che coinvolge il Cristo: dall’Annunciazione dell’Angelo a Maria, alla prescrizione data da Gesù alla Chiesa, il giorno dell’Ascensione, sul Monte, perché il Vangelo venisse predicato.

Il recupero della gente umana, “l’uomo nuovo” è possibile, attraverso la via dell’umiltà, la scelta di servizio che Dio ci propone in questa notte. L’onda lunga di quella vicenda di Betlemme giunge fino a noi e ci coinvolge. Per questo siamo venuti nel cuore della notte nella Chiesa madre tra le parrocchie aretine: è come dire: ”eccomi, ci sono anch’io, anche se mi vedete quando posso”. È la notte dell’accoglienza dei fratelli venuti dalla città dell’uomo, dalle varie storie di pensiero e di orientamento politico; della gente che è qui e ci dà gioia rivedere.

L’autore dell’Apocalisse insegna che non solo il Signore è nato, è morto e risorto, ma è vivo e presente in mezzo a noi: ”Ecco la tenda di Dio con gli uomini| Egli abiterà con loro…disse io faccio nuove tutte le cose”[3].

Questa Chiesa, dal bambino di Betlemme è chiamata a misurarsi con il nuovo che avanza. Ha la vocazione di riaccendere la speranza di molti. Dalla complessità del presente si può uscire. La Grazia già ci è data é il bambino di Betlemme. La nostra risposta è il proposito di guardare avanti.

Tra le prove della vita, di questo mondo globalizzato, vi è la tentazione dell’indifferenza -ripete spesso Papa Francesco- del rifugiarsi nel privato, del pensare a sé. Ma un bambino che nasce -soprattutto il Bambino Gesù- è fonte di gioia e ci coinvolge.        Non vogliamo fare come la moglie di Lot[4], che uscendo dalla città del peccato, a son di voltarsi indietro, diventò di sale. Perse le sue sembianze di persona viva e si dissolse nel nulla. Un poco di sale dà sapore alle cose, una persona che diventa solo sale, con i rimpianti del passato non è utile per gli altri. Anche questa Chiesa italiana, se seguita a guardarsi indietro, è come chi, entrando in autostrada, sbaglia il senso di marcia: è pericoloso per sé e per gli altri. E’ utile ricordarci in questa notte santa la parola dell’Angelo della resurrezione: il Signore ci “precede in Galilea[5], cioè cammina avanti a noi per spianarci la strada del quotidiano che ci attende. Ai pellegrini della notte di Natale giova dire “coraggio, ci sono io, non abbiate paura[6], il Signore non ci abbandona. Questo andarono a dire gli Angeli ai pastori: Chi capì si mosse, si mise in cammino.

  1. La scelta dell’umiltà che salva il mondo

L’idea di Dio che molti si sono costruiti fin dall’infanzia rischia di non corrispondere al Dio vero della Bibbia. Il culmine della Rivelazione è una storia a tutti nota: Betlemme è il segno del progetto di Dio, abbassarsi al nostro livello per salvare tutti. I Padri insegnano che questa è la via della “kenosis”. Sant’Agostino, in una notte come questa, raccontò così ai fedeli l’umiltà del Signore: “Dio pur di dialogare con tutti si è fatto bambino che non sa ancora parlare”[7].

     L’angelo Gabriele è mandato a Maria perché scelga o meno di collaborare con Dio. Il suo fiat fu pieno di rischio, come ogni nostra scelta fondamentale di vita. La legge mosaica prevedeva che una donna incinta fuori dal matrimonio venisse lapidata. L’Ecce Ancilla Domini si fida di Dio, si riconosce come persona della sua casa. Per fortuna che c’è Giuseppe che protegge e risolve in questo cammino controcorrente. Vanno a Betlemme, la città di lui. I parenti neppure li accolgono. Ma Giuseppe trova una grotta dove Maria possa partorire.

La logica della Laudato si’ di Papa Francesco funziona. Il creato non è indifferente. La tradizione vuole che, nel freddo di questi giorni a Betlemme, un bue e un asinello nella grotta accanto riscaldassero con il loro fiato il figlio di Dio. E furono le pezze usate da altri bambini, portate alla Santa grotta dalle donne dei servi pastori di Betzaur, a provvedere al bambinello ignudo, come ignudo fu in Croce. Anche Gesù ha avuto bisogno dei vestiti usati, come ancor oggi i poveri della terra. Dio ci chiede aiuto, ma chi è che lo aiuta?

Poi Erode, il re cattivo, fece uccidere gli innocenti. Ma non fu il solo a macchiarsi di questo crimine. Ancora Giuseppe provvede, ascoltando gli angeli, per quella via del mare, oggi striscia di Gaza, portò in salvo Gesù e Maria, rifugiati, poveri, senza null’altro che la capacità di lavoro di Giuseppe. Poi la povertà della casa di Nazareth, cantata da Paolo VI: il silenzio, l’armonia e l’amore valgono più delle ricchezze del mondo. Ormai adulto, Gesù inizia il nuovo Esodo, camminando di villaggio in villaggio per annunziare il Vangelo e sanare il dolore umano. Tutti percepiscono l’intervento di Dio e chiamano miracolo i gesti di liberazione che il Cristo compie a favore di chi è nel bisogno.

  1. Natale è tempo di riflessione, per avviare alla novità nella nostra vita

La Pasqua ebraica dà avvio alla nuova Pasqua come stiamo celebrando questa notte. Il coraggio di Gesù nella Passione, non più duro che l’umile abbassamento del Presepio. E’ quel coraggio che lo fa vicino a tutti quelli che, in ogni epoca, sono innocenti vittime della violenza e della prepotenza che discrimina e bada solo alla soddisfazione di sé. Il Libro della Genesi così aveva già descritto ogni storia di peccato: violenza, concupiscenza e discriminazione avvelenano la storia. La via dell’umiltà salva: la meditazione del Natale porta a vedere Gesù.

La via dell’umiltà permise a tre grandi cattolici di ricostruire l’Europa dilaniata dalla terribile Guerra Mondiale, Alcide De Gasperi, Robert Shuman, e Adenauer: il loro metodo fu la pazienza senza prevaricazione. Convinsero  sognando la collaborazione tra i popoli. Forse come i pastori del presepio, dobbiamo anche noi ritrovare l’umiltà di costruire e non distruggere, di parlare alle coscienze e non all’istinto. Per chi guida la cosa pubblica noi preghiamo stanotte che la lezione del presepe sia di ispirazione forte. Dio salva, ma a noi chiede di cambiare il cuore e trasformare l’arroganza in sentimenti di pace e di concordia.

Fra Tommaso da Celano, nella Vita Prima di S. Francesco[8], così racconta il primo presepio. Non statuine di gesso, né grotte di cartone, né stelle argentate. Tre anni prima di morire, Francesco chiama Giovanni da Greccio, che era in Assisi e lo manda a Greccio, perché provvedesse a fare quello che gli abitanti di Betlemme non seppero fare, cioè accogliere la gente, i rifugiati, i pellegrini del mondo. Poi il Poverello, a piedi, con chi volle, da Santa Maria degli Angeli a Tordandrea, a Bevagna, a Castel Ritaldi, il Ponte delle Torri, il bosco di Monte Luco, la discesa verso le Marmore, la salita fino a Greccio. Sì, ogni esperienza umana per cambiare il mondo è faticosa, piena di salite e discese e di tanto impegno, aldilà delle delusioni e dei successi.

A Greccio arrivarono in tanti, perché Francesco era credibile. Con tutti gli altri, raccolti di paese in paese, chiese a ciascuno di fare la parte propria: i pastori, le loro donne. Ai frati chiese di far da angeli. Lui cantò il Vangelo, perché era diacono. Il Celano racconta che quanti avevano fatto quell’esperienza -il primo presepe della storia- riferirono di aver visto Gesù. Sì, l’abbassamento di Dio, la sua umiltà coinvolge tutti e libera ciascuno.

Questa è la notte dei propositi. Ciascuno scruti sé stesso. In interiore homine habitat veritas[9], diceva Agostino. Se vuoi davvero metterti in moto a cercare Dio, guardati dentro. Gli altri forse non ti conoscono, ma a te è dato accesso alla tua coscienza. Rimuovi il male e avvia il bene. Questo è il modo con cui Dio recupera noi peccatori nella verità di ogni storia personale.

[1] Lc 3, 1

[2] Cfr Leone Magno papa, Discorso Primo per il Natale, 1-3

[3] Apoc 21,3a.5

[4] Gn 19, 1-26

[5] Mt 28,7

[6] Mt 14,27

[7] Sant’Agostino, Discorsi, in Nativitate Domini, 3,2

[8] Celano, Vita Prima, Capitolo XXX

[9] Agostino, De vera religione, XXXIX, 72-73

Articoli correlati