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mercoledì | 18-12-2024

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La lavanda dei piedi in Cattedrale, il vescovo: “Vivere il servizio, l’umiltà, l’accoglienza”

Messa crismale

Omelia del vescovo Andrea Migliavacca

Cattedrale Arezzo – 28 marzo 2024

Un particolare profumo accompagna la celebrazione crismale nella nostra Cattedrale.

È il profumo degli oli che verranno benedetti e spandono il buon profumo di Cristo che accompagna i tempi della vita degli uomini e delle donne, tempi di grazia e di amore nella loro vita.

È il profumo della Parola di Dio che sempre fa fiorire la vita e l’aroma della presenza del Signore Gesù nell’Eucaristia che celebriamo.

È il profumo del sacro crisma che ha consacrato noi nel giorno della nostra ordinazione, un profumo che ancora si sente e che oggi vogliamo nuovamente diffondere anche grazie al rinnovo delle promesse del nostro sacerdozio. Ed è bello ricordare gli anniversari di ordinazione di tutti noi e quelli particolarmente significativi.

È il profumo della Pasqua, di quella vita nuova che il Risorto annuncia e porta a tutti noi.

È il profumo che sa diffondere la bellezza delle parole, delle parole di vangelo.

Siamo nel tempo del mondo della comunicazione. C’è una comunicazione scritta, ci sono i giornali sulla carta e online, c’è la comunicazione della radio e della televisione, c’è la comunicazione della rete internet e dei social e la comunicazione veicola tante parole che raggiungono non solo l’udito, ma anche il cuore e la nostra vita. Ci sono parole che abitano la vita, che orientano la vita.

Ciascuno di noi può riflettere e scoprire le parole che più entrano nel cuore, ci indirizzano, abitano non solo i pensieri, ma anche i sentimenti. E che parole facciamo circolare nei nostri ambienti di Chiesa, nelle parrocchie, nei gruppi, tra di noi e su di noi?

Tante parole che a volte sono le parole del mondo e non del vangelo.

La Parola di Dio proclamata ci racconta di parole di Gesù, parole pronunciate e vissute dal Signore.

Gesù è a Nazaret, in Sinagoga e, prendendo il rotolo di Isaia di cui ci parla anche la prima lettura di oggi, pronuncia parole che parlano di vita, di ripresa, di vicinanza, di umanità, di salvezza: lieto annunzio, liberazione ai prigionieri, il vedere per i ciechi, libertà agli oppressi, consolazione… e quante altre parole di Gesù ci fa conoscere il vangelo: va, ti sono perdonati i tuoi peccati, amate i vostri nemici, siete la luce del mondo, il sale della terra, chiamate alla festa di nozze e fate entrare tutti…
Gesù nella sua missione ha detto parole di vita, perché parole capaci di far vivere, di regalare il sapore dell’esistere, forti nell’accompagnare il ricominciare sempre, parole eco della misericordia di Dio, del suo amarci.

E perfino sulla croce Gesù ha detto parole di grande vitalità: Padre perdonali; donna ecco tuo figlio, figlio ecco tua madre.

Sulle strade di Palestina allora, e anche oggi per tutti noi, dobbiamo lasciar risuonare le parole di Gesù, e sono parole di vangelo.

Il prete anzitutto e poi ogni battezzato è chiamato a dire parole di vangelo.

Potremmo riflettere, esaminarci per chiederci nel nostro parlare abituale, nella nostra comunicazione, nei dialoghi tra noi preti, quelli con la gente, quello che cerchiamo o scriviamo col cellulare, quello che è detto ad alta voce oppure di nascosto, arrivando anche a verificare la nostra predicazione e possiamo chiederci se noi diciamo parole di vangelo.

E questo è quanto di più ha bisogno oggi il nostro mondo e la nostra gente. Che si dicano, si possano gridare parole di vangelo. È la nostra missione, siamo preti, vescovi per questo: portatori di parole di vangelo.

La pagina evangelica e la celebrazione di oggi, in particolare l’attenzione agli oli santi, ci guidano a scoprire dove portare parole di vangelo.

Anzitutto il testo evangelico e anche la lettura di Isaia ci parlano di varie situazioni di povertà, di sofferenza, di limite, di privazione. Le conosciamo bene anche noi. Ci sono i poveri delle nostre comunità e accanto a noi, ci sono gli immigrati trattati solo da stranieri e spesso emarginati, ci sono i malati segnati da tanta sofferenza e talvolta disperazione, ci sono persone ferite nel loro amare con povere storie di famiglie, ci sono giovani che cercano risposte e sicurezze per il loro futuro, ci sono volti e sguardi che noi ben conosciamo e che vivono fatiche e difficoltà. E noi? A loro possiamo portare parole di vangelo, parole che parlano di speranza, di vicinanza, di compassione, di aiuto reciproco, di felicità, di accoglienza, di pazienza, di perdono…

Sono parole molto concrete, pensateci un po’: vieni e sentiti a casa, non temere, sei perdonato, ti voglio bene, coraggio, camminiamo insieme. Ecco alcune parole di vangelo nella vita di ogni giorno, a casa nostra, parole che noi siamo chiamati a portare come la nostra missione.

E gli oli santi ci guidano a scoprire i luoghi ove portare parole di vangelo.

L’olio dei catecumeni che ci invita a visitare con queste parole ogni realtà che custodisce la vita. Sono parole di vangelo per chi ferisce la vita rifiutandola al suo sorgere, al concepimento per incoraggiare a fare spazio alla vita; sono parole di vangelo che accompagnano le fatiche delle famiglie di oggi e le tante ricerche dei giovani; sono parole di vangelo che visitano i luoghi di lavoro e quelli dello studio; sono parole di vangelo che si possono diffondere nelle nostre città, talvolta intristite quando i cammini si fanno solitari o compromessi da strumentalizzazione e interessi poco onesti. E’ la vita, la vita di tanta gente, la vita di tutti i giorni, la vita da accogliere che ci chiede di portare parole di vangelo. Coraggio, amico prete, vai a portarle.

L’olio degli infermi ci accompagna a portare parole di vangelo in ogni situazione segnata dalla sofferenza e in particolare l’avventura della malattia e l’età anziana dell’esistenza. E ci chiamano gli ospedali, le case di cura, le Rsa, il carcere, i muri di tante famiglie… per sentire parole di vangelo.

Il crisma che profuma di vita donata e di scelte e parla di amore e chiede di portare parole di vangelo in ogni occasione in cui è chiesto di donare la vita, di amare. E invita me in prima persona, ma anche tutti noi preti, diaconi, fedeli a portare parole di vangelo tra di noi, volendoci bene tra noi cristiani e amando questa nostra Chiesa.

C’è una situazione che in modo prepotente oggi sta cercando parole di vangelo: la guerra. La Terra Santa e Gaza, l’Ucraina e la Russia, e poi il Burkina Faso, il Congo, la Siria, per dirne solo alcune, sono terre segnate dalla violenza, dalla guerra e dalla morte dove risuonano oggi troppe parole che alimentano e cercano lo scontro. Sono le parole di chi non vede altro che la guerra e lo scontro, l’avversario e il nemico, sono le parole che accompagnano il commercio di armi, sono le parole che rifiutano il tavolo di trattative e di perdono. Non dobbiamo rassegnarci alla logica e alla apologia della guerra che sembra diffondersi anche in Europa e nelle parole di tanti che ci governano. Noi possiamo, dobbiamo portare parole di vangelo che sono parole di pace, di perdono, di dialogo, di fraternità.

Amici, siamo preti per questo, per portare sempre parole di vangelo.

I testi biblici di questa liturgia sottolineano anche come queste sono parole anche per noi. Così è per il profeta nel testo di Isaia e così per Gesù: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione”. La consacrazione non è un fatto magico che accade nella vita, ma è il dono di una vita cambiata, trasformata grazie ad una parola che ci visita e ci cambia, grazie a parole di vangelo per noi. Consacrati vorrà dire amati grazie a parole di vangelo. E la vita cambia.

Fratello prete, e tutti voi, amici laici, religiose, religiose, diaconi, non avete bisogno anche voi di parole di vangelo per la vostra vita? E i giovani, e i nostri ragazzi della cresima… non avete bisogno di parole di vangelo?

Oggi ci è promesso che ci sono anche per noi.

Apriamo il cuore, il nostro cuore per ascoltare la parola di vangelo che tocca proprio la tua vita. Lasciamola entrare e lasciamo che sia balsamo per la nostra vita. E’ parola di vangelo, è parola per te.

Messa in Coena Domini

Omelia del vescovo Andrea Migliavacca

Cattedrale Arezzo – 28 marzo 2024

Iniziamo con questa celebrazione i riti del triduo pasquale, un unico grande rito che inizia con questa Messa e si concluderà con la celebrazione della grande veglia pasquale.

La liturgia di questa celebrazione, che fa memoria dell’ultima cena del Signore, è abitata da tanti gesti.

Di gesti particolari ci parla la Parola di Dio.

La prima lettura, l’Esodo, narrando la notte della liberazione dall’Egitto, indica alcuni gesti che gli israeliti dovevano porre per passare indenni quella notte, essere salvati e liberati.

E così dovevano prendere un agnello che doveva avere precise caratteristiche e doveva servire anche come condivisione con chi ne avesse bisogno; e poi dall’agnello andava preso del sangue e messo sugli stipiti delle porte; era un agnello da mangiare arrostito, con erbe amare; e altri gesti erano indicati: andava mangiato con i fianchi cinti, con i sandali ai piedi, il bastone in mano e in fretta.

Tanti gesti raccomandati per accorgersi che passa il Signore, che è il liberatore e che da lui si è salvati.

Sono gesti che raccontano la vita quando si affida e si lascia visitare dal Signore e dal suo amore.

La seconda lettura, la lettera di Paolo ai Corinzi, presenta altri gesti, quelli dell’ultima cena.

Gesù in quella notte prese il pane, rese grazie, lo spezzo, lo diede dicendo…; prese il calice, recitò la benedizione e fece bere il vino. Sono i gesti che raccontano e annunciano, spiegano e condividono la vita donata di Gesù, l’amore che è la sua morte di croce, un amore che è dono di vita per noi.

Il vangelo ci regala una bellissima scena con i gesti di Gesù, narrati quasi al rallentatore: egli si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano, lo cinse attorno alla vita. Versò dell’acqua nel catino, cominciò a lavare i piedi ai discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano. E il dialogo con Pietro rivela che dobbiamo lasciare che quei gesti Gesù li compia davvero, anche per Pietro, anche per me, per noi.

Questi gesti di Gesù rivelano, fanno vedere e scoprire quanto l’evangelista Giovanni annota all’inizio di questa pagina: “Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine”. Ecco sono i gesti del racconto e del dono dell’amore di Gesù. Sono i gesti di quella ultima cena che mostra come sulla croce Gesù vivrà il dono di amore più grande, fino alla fine.

I gesti che abbiamo ricordato sono i gesti di Dio, i gesti di Gesù, i gesti dell’amare del Padre verso di noi, verso ogni uomo e ogni donna. Sono i gesti che ancora oggi Gesù vive verso di noi e che accogliamo anche in questa celebrazione. Sono i gesti che ci raccontano e ci fanno sentire che siamo amati, che tu sei amato, sei davvero amato. E con questi gesti Gesù te lo annuncia e te lo dona.

Ma il gesto racchiude anche un insegnamento. Lo scopriamo nella pagina evangelica. “Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi”.

Ecco l’insegnamento, l’invito, il mandato per noi: Facciate voi come io ho fatto a voi.

Si tratta di compiere i gesti di vangelo.

Ce li suggerisce la Parola di Dio.

Sono i gesti di vangelo, ci indica la prima lettura, che parlano di libertà: sono i gesti che esprimiamo nel segno della carità di chi si fa carico del malato; di chi vive forme diverse di prigionia, quella fisica, ma anche quella del cuore e del peccato; sono i gesti di liberazione di chi non vede un futuro davanti a sé e cade nella disperazione; sono i gesti di liberazione di chi si sente imprigionato in relazioni malate, faticose, ferite.

La pagina di Paolo ci invita a porre i gesti di vangelo che regalano la vita, come quel pane consacrato alla tavola eucaristica, un pane spezzato e donato. Sono gesti di vangelo che rimettono in piedi chi ha sbagliato nella vita; quelli che sanno curare le ferite e che regalano di nuovo il gusto di vivere; sono i gesti che offrono la condivisione dei doni della propria vita; sono i gesti di vita di chi promuove e custodisce la fraternità.

E il vangelo ci invia a compiere gesti di vangelo, ce lo dice proprio: fate anche voi così.

Sono gesti di vangelo quelli che ci fanno vivere il servizio, l’umiltà, l’accoglienza di chi è diverso da noi; sono gesti di vangelo che ci fanno guardare negli occhi della gente a partire dai loro piedi, cioè dalla loro storia e dalle loro fatiche; sono i gesti di vangelo che baciano quei piedi raccontando l’amore. Sono i gesti di vangelo che narrano gesti di amore condiviso.

Si tratta di imparare a compiere gesti di vangelo.

Per questo siamo invitati a stare alla mensa di quell’ultima cena.

È quel pane spezzato, preso e mangiato, l’Eucaristia che ci insegna e ci dà la forza di compiere poi gesti di vangelo, gesti di amore.

Ed è la sorpresa di vederci lavati i piedi a quella mensa, lavati proprio a noi, scoprendo che anche noi siamo amati sul serio e ci darà questo coraggio e forza per servire a nostra volta.

È un invito ed è quanto celebriamo oggi a questa tavola che è l’altare e nel segno della lavanda dei piedi tra poco: con Gesù, amati da lui e inviati a compiere gesti di vangelo nel nostro mondo.

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