Pompiere aretino morto sul lavoro: il Tribunale condanna il Ministero al risarcimento
Finisce con una vittoria, almeno in sede civile in primo grado, la vicenda dell’incidente mortale sul lavoro accaduta al pompiere aretino. Mazzi aveva 29 anni quando il 28 gennaio 2003 perse la vita mentre effettuava un soccorso per recuperare un autotrasportatore rimasto ferito, uscito di strada e finito nel greto di un fiume con un camion cisterna.
Il pompiere veniva calato tramite i propri colleghi dall’autogrù con una barella toboga per recuperare l’autotrasportatore, ma qualcosa andò storto in quel pomeriggio a Palazzo del Pero. Quello che sembrava un complesso, ma tuttavia ordinario, intervento di soccorso a persone, si trasformò in tragedia: il cavo a cui era attaccato Simone Mazzi si spezzò improvvisamente e il bozzello lo colpì sulla testa causandone la morte sul colpo.
Una vicenda che ha visto in sede penale l’assoluzione di coloro che al tempo ricoprivano gli incarichi di comandante dei vigili del fuoco di Arezzo, di responsabile della manutenzione dei mezzi, e del manovratore del mezzo. La loro condotta è risultata infatti esulare dalle cause che hanno provocato l’incidente mortale, come chiarito da alcune perizie tecniche effettuate sull’autogrù. Il problema riguardava un grave vizio congenito – così come poi riscontrato – del mezzo in uso che risiedeva nelle modalità in cui era stata realizzata una parte elettromeccanica dell’autogrù. In altre parole il sistema in caso di malfunzionamento del dispositivo di finecorsa non avrebbe consentito, come accaduto in questo caso specifico, di bloccare la salita del bozzello e quindi di evitare il peggio.
Secondo quanto deciso dal giudice della Seconda sezione Civile del Tribunale di Firenze, Maria Novella Legnaioli, il Ministero degli Interni è responsabile per aver fornito uno strumento con caratteristiche tecniche inidonee a garantire la sicurezza dei propri lavoratori. In particolare né il comandante, né l’addetto alla manutenzione della caserma aretina erano a conoscenza che il meccanismo dell’autogrù in dotazione ai pompieri presentasse un così grave difetto. Tuttavia, a Grosseto i pompieri avevano già riscontrato analogo vizio di malfunzionamento della macchina ed ottenuto una modifica al dispositivo montato su una loro autogrù. Anche per questa ragione, secondo il giudice, il Ministero degli Interni non poteva non sapere che quel mezzo non garantisse gli standard di sicurezza e per tale motivo lo ha condannato al risarcimento dei danni morali subiti dalla madre e dal fratello, rappresentati in giudizio dagli avvocati Roberto De Fraja e Simone De Fraja del Foro di Arezzo.
«Una sentenza – spiegano i familiari – che sancisce una vittoria non solo per i diretti danneggiati, ma anche per il Corpo nazionale dei Vigili del fuoco, perché questa condanna del Ministero sia di monito per il futuro, che non ci siano altri Simone Mazzi e che i pompieri vengano messi in condizione di lavorare in assoluta sicurezza, senza mettere a repentaglio la loro vita per inottemperanza alle norme rigorosamente previste dalla legislazione riguardante la sicurezza. Io e mia mamma abbiamo combattuto questa battaglia da quasi 20 anni perché fosse accertata la verità, non era accettabile per noi che la colpa venisse attribuita ad una fatalità».
«Una sentenza – dichiarano i legali della famiglia Mazzi – che finalmente risponde a giustizia, benché solo dopo 17 anni e dopo una lunga e costante attività di contenzioso giudiziario sostenuta a fianco dei familiari di Simone Mazzi».