Roberto Rossi in bilico: Davigo e Bonafede per l’allontanamento da Arezzo
Mercoledì 23 ottobre il plenum della quinta commissione del Csm (il Consiglio superiore della Magistratura) deciderà, in via definitiva, se confermare o meno nell’incarico di Procuratore della Repubblica di Arezzo, Roberto Rossi. Una votazione si era già svolta a luglio, quando la commissione direttivi, a larga maggioranza (4-1) aveva proposto al plenum di non confermare Roberto Rossi a capo della procura di Arezzo. Il ribaltone era arrivato dopo il parere negativo del ministro Bonafede alla conferma. Quello di luglio era il terzo pronunciamento della commissione: il primo favorevole a Rossi, il secondo interlocutorio e il terzo negativo
Alla base della mancata riconferma, la “relazione Davigo“, in cui viene imputato a Roberto Rossi di aver svolto un incarico al dipartimento affari giudiziari e legislativi della presidenza del consiglio in “conflitto d’interessi”, mentre indagava sul crac di Banca Etruria e quindi potenzialmente su Pierluigi Boschi, padre di un ministro del governo Renzi (Maria Elena) dal quale dipendeva il dipartimento stesso, di essersi auto assegnato le prime indagini sul dissesto Bpel e di non aver chiesto l’insolvenza della banca aretina, atto dovuto a seguito della relazione degli ispettori di Bankitalia. La consulenza al dipartimento affari giudiziari e legislativi della presidenza del consiglio, avrebbe minato la credibilità del procuratore di Arezzo. E oltre alla citata relazione, pesa come un macigno il giudizio del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, che sul procuratore di Arezzo è stato netto: “Roberto Rossi non può essere confermato alla guida dell’ufficio giudiziario per una serie di circostanze sufficienti a definirne la condotta inopportuna e avventata“.
Fin qui la relazione di Davigo e il parere del Ministro, che contrastano con la difesa di Rossi e con alcuni atti che lo stesso procuratore ha inviato al plenum del Csm come memoria “difensiva”: in pratica il capo della Procura di Arezzo evidenzia di essere entrato nel dipartimento affari giudiziari e legislativi della presidenza del consiglio nel novembre 2013, ben prima del fallimento Bpel, che data 11 febbraio 2016. In merito all’autoassegnazione delle indagini per ostacolo alla vigilanza, il padre della Ministra Maria Elena Boschi, Pierluigi, non era coinvolto nella vicenda, visto che le indagini riguardavano presidente e direttore generale della banca e, di più, il fascicolo venne assegnato dal sistema automatico della procura come Pm dell’area reati economici. Sulla mancata richiesta di insolvenza contestata, semplicemente non poteva essere firmata, in quanto la relazione venne consegnata in procura quando Bpel era già stata commissariata. Rossi nella sua memoria difensiva definisce inoltre “anomalo l’intervento del potere politico: un ministro può intervenire sull’organizzazione dell’ufficio, non su come vengono condotte le indagini“.
La conferma di Rossi appare fortemente a rischio, tenuto conto della votazione di luglio, della relazione a firma di Pier Camillo Davigo, con il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede intenzionato a sostenerne la linea. Resta da capire se la quinta commissione del plenum del Csm, chiamata ad esprimersi domani, riterrà efficace la memoria difensiva di Roberto Rossi.