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lunedì | 17-02-2025

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Rossi resta capo della procura di Arezzo: infondata la delibera del Csm e illegittimo il parere del Ministro Bonafede

Il Consiglio superiore della Magistratura e persino il Ministro della Giustizia gli avevano negato la riconferma a Procuratore di Arezzo, perché Roberto Rossi, pm del caso Banca Etruria, aveva svolto il ruolo di consulente della presidenza del Consiglio all’epoca del Governo Renzi. La presenza in quel Governo di Maria Elena Boschi, figlia di Pierluigi Boschi, ex vicepresidente di Banca Etruria poi indagato in alcuni filoni dell’inchiesta, aveva fatto scattare lo stop per “incompatibilità”. Ma la controffensiva di Roberto Rossi e dei suoi legali ha portato ad una sentenza che non solo accoglie le sue ragioni, ma arriva anche a rimarcare il perimetro d’intervento di un Ministro della Giustizia.

Davigo e Bonafede

La vicenda, articolata, si è sviluppata attraverso varie fasi. Alla base della mancata riconferma, ottobre 2019, la “relazione Davigo“, in cui veniva imputato a Roberto Rossi di aver svolto un incarico al dipartimento affari giudiziari e legislativi della presidenza del consiglio in “conflitto d’interessi”, mentre indagava sul crac di Banca Etruria e quindi potenzialmente su Pierluigi Boschi, padre di un ministro del governo Renzi (Maria Elena) dal quale dipendeva il dipartimento stesso, di essersi auto assegnato le prime indagini sul dissesto Bpel e di non aver chiesto l’insolvenza della banca aretina, atto dovuto a seguito della relazione degli ispettori di Bankitalia. La consulenza al dipartimento affari giudiziari e legislativi della presidenza del consiglio, avrebbe minato la credibilità del procuratore di Arezzo. E oltre alla citata relazione, arrivò il giudizio del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, che sul procuratore di Arezzo ritenne di intervenire: “Roberto Rossi non può essere confermato alla guida dell’ufficio giudiziario per una serie di circostanze sufficienti a definirne la condotta inopportuna e avventata“. Fin qui la relazione di Davigo e il parere del Ministro.

Un «clamoroso e sconcertante travisamento dei fatti»

La difesa di Rossi, avvocati Clarizia e Dore, si è articolata con alcuni atti che lo stesso procuratore ha inviato al plenum del Csm come memoria “difensiva”: in pratica il capo della Procura di Arezzo evidenziava di essere entrato nel dipartimento affari giudiziari e legislativi della presidenza del consiglio nel novembre 2013, ben prima del fallimento Bpel, che data 11 febbraio 2016. In merito all’autoassegnazione delle indagini per ostacolo alla vigilanza, il padre della Ministra Maria Elena Boschi, Pierluigi, non era coinvolto nella vicenda, visto che le indagini riguardavano presidente e direttore generale della banca e, di più, il fascicolo venne assegnato dal sistema automatico della procura come Pm dell’area reati economici. Sulla mancata richiesta di insolvenza contestata, semplicemente non poteva essere firmata, in quanto la relazione venne consegnata in procura quando Bpel era già stata commissariata. Rossi nella sua memoria difensiva, definiva inoltre “anomalo l’intervento del potere politico: un ministro può intervenire sull’organizzazione dell’ufficio, non su come vengono condotte le indagini“. 

 

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