Crisi, 1700 chiudono. Marinoni: “Soffrono città turistiche, Arezzo meglio. Vaccino ok, green pass se è per tutti”
In Toscana risultano scomparse 1.700 imprese del commercio e 200 del turismo sulle 212mila esistenti nel terziario toscano. È la fotografia dell’ultimo Osservatorio congiunturale, condotto da Format Research per Confcommercio Toscana e relativo al primo semestre 2021. Se nei primi sei mesi del 2021, si legge, il clima di fiducia era migliorato, adesso la maggior parte degli operatori ritiene di non poter tornare ai livelli di redditività pre-crisi prima del 2023. Come chiarito dal presidente di Format Research Pierluigi Ascani, “i settori più in crisi sono il commercio al dettaglio non alimentare, i pubblici esercizi e i servizi alla persona“.
Direttore Franco Marinoni, quanto tempo ancora prima di un ritorno ad una parvenza di normalità?
“Ancora 18 mesi – dichiara il direttore di Confcommercio Toscana Franco Marinoni – da vivere stringendo la cinghia, dunque, dal momento che i consumi non sono ripartiti, come dimostra anche il procedere lento dei saldi estivi, e nell’aria ci sono purtroppo nuove restrizioni a causa della ripresa della circolazione del virus“.
L’indagine Format Research commissionata da Confcommercio Toscana è impietosa. Eppure i problemi vengono da lontano.
“Infatti la sintesi è che le difficoltà quasi strutturali che da anni viveva il settore, sono ovviamente acuite dalla pandemia”
Prospettive di “normalizzazione” delle attività economiche?
“Ne riparliamo almeno nel 2023. Quindi per questo 2021, è sotto gli occhi di tutti, la situazione non è certamente rosea, non basterà il 2022 per recuperare ciò che si è perso nei 18 mesi di questa tragedia della pandemia. Una tragedia che non deriva dal comportamento degli imprenditori del settore”.
Vuol dire che le responsabilità vanno cercate altrove?
“Voglio dire che la situazione poteva essere gestita meglio, soprattutto nella prima fase”.
Chi soffre di più?
“Le località a maggior vocazione turistica. A Firenze sono spariti 15 milioni di turisti e non sarà facile riportarli nel capoluogo, a Siena, Pisa o Lucca. Realtà come Arezzo sono destinate a soffrire meno, perché maggiormente basate su un’economia domestica. Per Arezzo viene anche meno l’idea di emulare le città turistiche”.
Come hanno accolto i gestori di bar e ristoranti l’introduzione del Green pass?
“Al di là degli aspetti riguardanti la privacy, di fronte a un’esigenza di salute pubblica ogni giudizio passa in secondo piano. Certamente può essere uno strumento di persuasione se non di pressione per spingere al vaccino, che è l’unica risposta certa per il contenimento della diffusione dell’epidemia da un lato e per l’abbattimento delle conseguenze della malattia una volta contratta. Però non può essere uno strumento di discriminazione, cioè uno strumento che vale solo per poche categorie. Mi spiego meglio: non ha senso proibire l’accesso ad un non vaccinato ad un pubblico esercizio per il tempo di un caffè, pochi secondi e poi consentire alla stessa persona di lavorare fianco a fianco ad altre persone otto ore, o andare al supermercato a fare la spesa per 40 minuti, in banca per una pratica per la quale servono decine di minuti, o andare in Camera di Commercio per un certificato. Un provvedimento del genere è inutile e discriminatorio”.
Quindi?
“Quindi Green pass, se è per tutti”.
Qual è lo stato d’animo degli imprenditori in questa fase?
“C’è una grande volontà di ripartenza, dobbiamo gestire questa fase di recrudescenza oggettiva del contagio. La campagna vaccinale dimostra che se proprio non garantisce del tutto rispetto al contagio, almeno garantisce rispetto alle conseguenze della malattia. I livelli di ospedalizzazione e mortalità sono infatti molto inferiori ad altre fasi precedenti del contagio. Quindi la risposta da dare è: vacciniamoci, con le buone o con le cattive. Se la vaccinazione di massa è la riposta, dobbiamo fare di tutto perché la gente si vaccini”.