Il terzo mondo

A seggi aperti, dopo aver dato uno sguardo alle fiacche percentuali di affluenza. Certo, nel nostro Paese non è obbligatorio per legge recarsi a votare. La nostra Costituzione, all’art. 4, recita che il voto è prima di tutto un dovere civico ed esso deve essere “personale, libero e segreto”. Non mi soffermo sulle cause che hanno provocato una sempre più rarefatta partecipazione dell’elettorato all’esercizio del voto, certamente la disaffezione viene da lontano ed ha radici profonde. Merita un’analisi storica e sociologica al tempo stesso. Casomai vorrei rimarcare che scegliere di non andare a votare disertando la chiamata alle urne, è esso stesso un segnale, a mio avviso negativo e alla lunga pericoloso. E’ come firmare una delega in bianco, demandando ad altri la decisione su scelte che invece riguardano (o dovrebbero riguardare) ciascuno di noi. Anche perchè alla fine una qualche coalizione vincerà, un qualche sindaco siederà sulla poltrona di primo cittadino, un consigliere comunale voterà, qualcuno diventerà parlamentare europeo. E sempre più spesso la maggioranza per governare viene ottenuta con un’esigua percentuale di votanti e di voti, sufficienti, in ogni caso, a legiferare, deliberare, esercitare il potere, decidere. Semplicemente perchè qualcuno a votare è andato e ha incaricato un suo rappresentante a prendere decisioni “erga omnes”, anche per chi, indolente, sfiduciato, non sentendosi rappresentato, è rimasto in poltrona o è andato al mare. Nella migliore delle ipotesi, la neutralità del non voto, l’imparzialità dell’astensione, non fa che contribuire ad alimentare un inutile “terzo mondo” senza visione, col risultato che la democrazia è sempre meno rappresentativa e credibile.

 

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