L’inferno di Francesco: “Ditemi se questo è un uomo. Ecco come mi hanno ridotto, riaprite il mio caso” Ar24Tv
Una qualche forma di conforto Francesco Di Laora, classe 1961, originario di Frattaminore, in provincia di Napoli, la trova nel caffè che i Carabinieri della stazione di Castiglion Fiorentino gli offrono. Un segno di vicinanza che Francesco gradisce, dopo che da più di una settimana è stanziato nella via adiacente la caserma dei Carabinieri di Castiglion Fiorentino. Dorme in auto, come fa da sette lunghi anni. Quel mezzo, coperto da cartelli in cui è sintetizzata la sua vicenda, è diventato la sua casa e anche un “media” di protesta e rivendicazione di quelli che sono “diritti non rispettati“. Attaccata alla portiera, una busta, contenente fascicoli di procedimenti giudiziari, lettere scritte alle più alte cariche dello Stato in oltre 20 anni di battaglia. Una battaglia per la vita, per la sopravvivenza. Mi avvicino incuriosito per scattare una foto alla sua auto, Francesco è sdraiato dentro, esce di scatto e reagisce con veemenza. Non vuole semplici “curiosi”, vuole qualcuno che si interessi a lui. Gli spiego che sono un giornalista e che se vuole me ne vado subito. Si calma, proviamo a spiegarci. Partono frammenti di una storia che Francesco racconta con l’enfasi di chi sa di avere ragioni da vendere: “Sono un’ex guardia giurata. Nel 1999, per ragioni familiari chiesi all’azienda per cui lavoravo (la Securpol Vigilantes srl, ndr) di poter cambiare il turno di notte con un orario diurno. L’azienda, per tutta risposta, si è accanita contro di me scatenando un inferno. Nel giro di tre giorni sono stato sospeso dal servizio, poco dopo è iniziato il processo, mi hanno spogliato di tutto, ho perso anche la mia famiglia. Hanno fatto tanti errori (giudiziari ndr), ora non sanno come risolvere“. Invece di cambiargli mansione, infatti, la società apre un fascicolo al Tribunale di Arezzo. Così Francesco, già in una situazione complicata per debiti contratti per cure mediche, perde prima il lavoro e poi la casa, anche se i vari gradi di giudizio gli danno ragione, “ma nel frattempo qualcuno che doveva difendermi, il suo dovere non l’ha fatto, anzi mi hanno venduto“, denuncia Francesco, che su quei fogli sparsi sopra l’auto condisce il racconto delle sue traversie con tanto di nomi e cognomi di quelli che ritiene “responsabili della mia tragedia“. “Vivo con una pensione di 125 euro al mese, ma continuo a combattere anche se la sera inizio a piangere alle 10, finché non mi addormento“. Le ha provate tutte: ha scritto al Ministro della Giustizia Cartabia, ai Presidenti della Repubblica Napolitano prima e Mattarella poi, ha protestato alla Corte Europea di Strasburgo, dove è stato manganellato e ciò “mi ha comportato la compromissione di un rene“, ci racconta ancora. A luglio scorso, dopo 38 giorni di protesta di fronte al Ministero di Grazia e Giustizia a Roma, ha consegnato la documentazione a Francesco Paolo Sisto, sottosegretario alla Giustizia in quota Forza Italia, per l’invio al Consiglio superiore della magistratura, “ma non ho ancora ottenuto una risposta. Lo Stato si deve vergognare, non io. Vorrei solo avere ciò che merito: dignità e giustizia“, si commuove Francesco. “Combatto perché non ci sia mai più un altro Francesco in Italia“.