La condizione delle donne lavoratrici: i numeri non mentono
“Noi che siamo reduci da traumi permanenti e mutilazioni irreparabili – recita la nota accompagnatoria di Anmil alla diffusione dei dati – vogliamo riproporveli perché ci rappresentano una situazione per la quale chiunque dovrebbe rabbrividire, se si pensa che c’è dietro la salute e l’integrità fisica di donne e uomini. In pratica lo scorso mese di gennaio 57milacinquecento83 lavoratori hanno denunciato all’INAIL un infortunio sul lavoro che rispetto alle denunce del gennaio 2021 sono state ben il 47% in più! E per chi obiettasse che lo scorso anno c’era ancora la pandemia ed una contrazione del lavoro – a differenza della straordinaria ripresa economica che stiamo vivendo con un conseguente aumento delle ore lavorate – segnaliamo che rispetto al mese di gennaio 2019, ovvero prima del Covid, le denunce di infortuni di gennaio 2022 sono comunque state del 23% in più. Quindi stiamo assistendo ad un massacro quotidiano per cui nessuno scende in piazza ogni giorno e tutti accettiamo questi dati come se fosse normale. E per entrare nel tema odierno voglio aggiungere che in questo aumento spaventoso le denunce di infortuni da parte delle donne lavoratrici sono state del 61,9% in più rispetto a quelle degli uomini. Fatta questa premessa doverosa che ci introduce al tema trattato da ANMIL in occasione della Giornata internazionale della Donna 2022, siamo lieti come Associazione di poter presentare il risultato del nostro lavoro che si pone in continuità con la ricerca avviata lo scorso anno. Quello che abbiamo voluto indagare con questo studio sono soprattutto le conseguenze che questi due anni di pandemia hanno prodotto sulla condizione lavorativa delle donne, le quali si sono fatte carico, oltre che della propria attività lavorativa, anche dell’aumento esponenziale delle responsabilità di cura dei figli, degli anziani e dei familiari non autosufficienti. Durante le fasi di lockdown il 74% delle donne ha continuato a lavorare (contro il 65% degli uomini), dovendo allo stesso tempo garantire la cura della famiglia, che con la chiusura delle scuole si è fatta sempre più complicata. Oltre 3 milioni di donne, ad esempio, hanno dovuto al tempo stesso lavorare e assistere i figli impegnati nella didattica a distanza. Situazioni spesso inconciliabili che hanno portato sempre più donne ad abbandonare il lavoro: nel 2020 si era registrato un calo complessivo degli occupati di 444mila unità, delle quali oltre il 70% era composto da donne. Con la ripresa delle attività produttive nel 2021 e l’attenuarsi allo stesso tempo degli effetti della pandemia sul mondo del lavoro, anche l’occupazione femminile ha visto un miglioramento, con un tasso di occupazione delle donne del 50,5%, trainato tuttavia perlopiù da contratti a termine e precari. La pandemia ha avuto pesanti ripercussioni anche sul fronte della salute e della sicurezza sul lavoro delle donne. Gli infortuni sul lavoro causati dal Covid denunciati nel biennio 2020-2021 hanno confermato che il virus ha colpito più le donne lavoratrici con il 68,3% rispetto agli uomini, specialmente nei settori della sanità e dell’assistenza sociale, caratterizzati da una forte presenza femminile. In questo quadro complicato, il legislatore si è dovuto muovere con provvedimenti urgenti di contenimento della pandemia e di sostegno ai lavoratori, in particolare attraverso i congedi parentali e la promozione di strumenti di flessibilità del lavoro, come lo smartworking, trascurando tuttavia altre questioni rimaste da tempo in sospeso che avrebbero necessitato di attenzione e interventi mirati, soprattutto per le donne. Sono del tutto mancati gli interventi a sostegno dell’occupazione femminile, specie delle madri. Lo abbiamo visto sia sul versante delle politiche attive del lavoro sia su quello delle misure di conciliazione famiglia-lavoro, a partire dai servizi educativi e di cura per la prima infanzia e la diffusione capillare del tempo pieno nella scuola dell’obbligo. Misure che avrebbero permesso e permetterebbero alle madri di stare nel mercato del lavoro e, al contempo, funzionerebbero da strumenti di pari opportunità per la conciliazione dei tempi di vita extralavorativa. Come Associazione, che tutela ed assiste anche le lavoratrici, infortunate e non, le vedove e/o le figlie di vittime del lavoro, è nostro dovere evidenziare anche altre urgenze. Dal punto di vista della prevenzione occorre chiedersi se ed in quale misura l’essere donna influisca sulle cause e sulle circostanze degli infortuni in azienda in modo diverso rispetto a quanto accade per gli uomini e come questo possa influire anche sul percorso di pieno recupero dopo un infortunio. Dal punto di vista della tutela, occorrono interventi urgenti in favore delle vedove di vittime del lavoro, che si trovano all’improvviso da sole a dover sostenere il carico familiare e a mantenere figli che seppur maggiorenni non riescono a trovare un lavoro stabile prima dei 30 anni. In loro favore sarebbe dunque auspicabile un ampliamento della quota di riserva – riconosciuta per legge dall’art. 18, comma 2, della L. 68/99 -, istituendone una dedicata ai superstiti dei caduti sul lavoro, come anche ai coniugi e figli dei grandi invalidi del lavoro. La nostra proposta sarebbe quella di fissare questa quota al 7% per i datori di lavoro che occupano più di 150 dipendenti e in 3 lavoratori per coloro che occupano da 51 a 150 dipendenti. Si dovrebbe poi fare di più per garantire l’applicazione della stessa legge sul collocamento mirato in favore di vedove e orfani, in particolare dando concreta attuazione alla loro prevista equiparazione alle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata, per garantirgli di accedere al collocamento con precedenza rispetto ad ogni altra categoria e con preferenza a parità di titoli. Ma di fatto questo provvedimento rimane solo sulla carta. Ci auguriamo quindi che questo confronto possa far maturare una nuova attenzione alle attese e ai diritti delle donne lavoratrici”.
Denunce infortuni e malattie professionali con differenze di genere
Dati Nazionali, Toscana e province
(Fonte: elaborazione ANMIL su Dati INAIL)
NOTA: i dati distinti per genere non sono disponibili a livello provinciale
Confronto anni 2020 e 2021
INFORTUNI TOTALI DENUNCIATI |
||||||
TERRITORIO |
2020 |
2021 |
Variazione 2021/2020 |
|||
Tot. |
Donne |
Tot. |
Donne |
Tot. |
Donne |
|
ITALIA |
554.340 |
233.731 |
555.236 |
200.557 |
0,2% |
-14,2% |
Toscana |
40.674 |
17.546 |
42.935 |
16.238
|
5,6% |
-7,5% |
Arezzo |
3.619 |
/ |
3.964 |
/ |
9,5% |
/ |
Firenze |
11.904 |
/ |
11.995 |
/ |
0,8% |
/ |
Grosseto |
2.002 |
/ |
2.217 |
/ |
10,7% |
/ |
Livorno |
3.635 |
/ |
4.109 |
/ |
13,0% |
/ |
Lucca |
4.534 |
/ |
5.241 |
/ |
15,6% |
/ |
Massa-Carrara |
2.387 |
/ |
2.253 |
/ |
-5,6% |
/ |
Pisa |
4.635 |
/ |
5.157 |
/ |
11,3% |
/ |
Pistoia |
2.625 |
/ |
2.498 |
/ |
-4,8% |
/ |
Prato |
2.467 |
/ |
2.107 |
/ |
-14,6% |
/ |
Siena |
2.866 |
/ |
3.394 |
/ |
18,4% |
/ |
INFORTUNI MORTALI DENUNCIATI |
||||
TERRITORIO |
2020 |
2021 |
||
Tot. |
Donne |
Tot. |
Donne |
|
ITALIA |
1.270 |
138 |
1.221 |
126
|
Toscana |
63 |
6 |
63 |
11
|
Arezzo |
4 |
/ |
5 |
/ |
Firenze |
22 |
/ |
14 |
/ |
Grosseto |
4 |
/ |
2 |
/ |
Livorno |
4 |
/ |
6 |
/ |
Lucca |
6 |
/ |
10 |
/ |
Massa-Carrara |
2 |
/ |
4 |
/ |
Pisa |
7 |
/ |
8 |
/ |
Pistoia |
2 |
/ |
7 |
/ |
Prato |
8 |
/ |
4 |
/ |
Siena |
4 |
/ |
3 |
/ |
Variazione totale ITALIA 2021/2020 = -3,9% |
MALATTIE PROFESSIONALI DENUNCIATE |
||||||
TERRITORIO |
2020 |
2021 |
Variazione 2021/2020 |
|||
Tot. |
Donne |
Tot. |
Donne |
Tot. |
Donne |
|
ITALIA |
45.023 |
12.072 |
55.288 |
14.901 |
22,8% |
23,4% |
Toscana |
6.815 |
2.052 |
8.109 |
2.472 |
19,0% |
20,5% |
Arezzo |
509 |
/ |
561 |
/ |
10,2% |
/ |
Firenze |
474 |
/ |
666 |
/ |
40,5% |
/ |
Grosseto |
430 |
/ |
456 |
/ |
6,0% |
/ |
Livorno |
1.092 |
/ |
1.354 |
/ |
24,0% |
/ |
Lucca |
1.826 |
/ |
1.938 |
/ |
6,1% |
/ |
Massa-Carrara |
712 |
/ |
889 |
/ |
24,9% |
/ |
Pisa |
1.266 |
/ |
1.566 |
/ |
23,7% |
/ |
Pistoia |
197 |
/ |
297 |
/ |
50,8% |
/ |
Prato |
110 |
/ |
178 |
/ |
61,8% |
/ |
Siena |
199 |
/ |
204 |
/ |
2,5% |
/ |
STUDIO ANMIL
“DIRITTI DELLE DONNE,
RISCHI INFORTUNISTICI E TUTELA DEL LAVORO”
in occasione della Giornata internazionale della Donna
8 marzo 2022
A cura dell’Ufficio Servizi Istituzionali e Legali ANMIL
e dell’esperto statistico Franco D’Amico
A partire dalla dichiarazione di pandemia, il legislatore nazionale è intervenuto attraverso una imponente produzione normativa emergenziale a tutela della salute pubblica. Numerosi provvedimenti normativi e regolatori, finalizzati a contrastare la diffusione del contagio da Covid-19, hanno interessato gli ambienti di lavoro. In particolare, tra i primi provvedimenti adottati, spiccano le regole precauzionali di contenimento del contagio nei luoghi di lavoro ad opera dei Protocolli condivisi con le parti sociali, nonché le norme sulla sorveglianza sanitaria eccezionale per i lavoratori fragili. In secondo luogo, il perdurare dell’emergenza pandemica ha orientato il legislatore all’estensione dell’obbligo di green pass (ordinario e rafforzato) nei luoghi di lavoro, nonché all’introduzione progressiva dell’obbligo vaccinale per alcune categorie di lavoratori.
Altro fronte d’intervento è rappresentato dall’impiego degli strumenti di flessibilità organizzativa, dai congedi parentali al lavoro agile e da remoto. In particolare, l’ampio ricorso allo smart working ha messo in luce l’esigenza di aggiornare la disciplina ordinaria in materia, nel settore pubblico e privato, allo scopo di valorizzare il suo impiego in modo strutturale, oltre l’emergenza.
Nel corso dell’emergenza pandemica, l’intervento emergenziale del legislatore è stato fortemente incentrato sull’utilizzo degli strumenti di flessibilità organizzativa nei luoghi di lavoro, allo scopo di contenere il contagio tra i lavoratori.
Recentemente, in forza del d.l. n. 221/2021, è stato prorogato l’uso del lavoro agile in modalità “semplificata” fino al 31 marzo 2022. Lo stesso provvedimento aveva prorogato il diritto al lavoro agile per i soggetti fragili fino al 28 febbraio 2022, anche mediante l’adibizione a diversa mansione ricompresa nella medesima categoria o area di inquadramento o lo svolgimento di specifiche attività di formazione professionale. Successivamente, la legge di conversione (n. 11/2022) ha esteso tale diritto fino al 31 marzo 2022. Al riguardo, è da precisare che il D.I. 3 febbraio 2022 ha individuato le patologie croniche in possesso delle quali la prestazione lavorativa deve essere normalmente svolta in modalità agile.
Ulteriori disposizioni hanno riguardato l’utilizzo dei congedi parentali. In particolare, fino al 31 marzo 2022 sono prorogate anche le disposizioni sui congedi parentali, indennizzati e non, introdotte dal c.d. decreto Fiscale (d.l. 21 ottobre 2021 n. 146). Si tratta della possibilità, per i genitori dei ragazzi under 14, di astenersi dal lavoro per la durata di sospensione dell’attività didattica in presenza, oppure per la durata di infezione o quarantena del figlio. Tale beneficio è stato riconosciuto anche ai genitori di figli con disabilità in situazione di gravità, a prescindere dall’età del figlio e anche nella ipotesi di chiusura dei centri diurni a carattere assistenziale. Diversamente, nei medesimi casi, i genitori di figli tra i 14 e i 16 anni, hanno il diritto di astenersi al lavoro senza corresponsione di retribuzione o indennità, seppur tutelati dal licenziamento. È importante evidenziare che sono stati previsti congedi ad hoc anche per i genitori lavoratori iscritti in via esclusiva alla Gestione separata, nonché indennità ai genitori lavoratori autonomi iscritti all’INPS.
Focalizzando l’attenzione sull’impiego del lavoro agile, questa modalità di svolgimento della prestazione lavorativa ha rappresentato un fondamentale strumento di prevenzione dal contagio nei luoghi di lavoro, pubblici e privati, anche se ha inevitabilmente complicato la vita lavorativa in special modo delle donne mettendo a rischio la tutela del loro ruolo professionale considerando le esigenze di gestire figli in quarantena, Dad e anziani senza aver previsto alcuna misura che le preservasse dalle ripercussioni più gravi.
Con la risalita dei contagi nel periodo invernale, il 5 gennaio 2022 una Circolare congiunta del Ministero del lavoro e del Ministero della Pubblica Amministrazione ha inteso sensibilizzare i datori di lavoro, pubblici e privati, sull’utilizzo appieno del lavoro agile. In particolare, per il settore privato, è stata ribadita la possibilità di impiegare la forma “semplificata” dello smart working e di avvalersi della figura del ‘mobility manager’ per una pianificazione più razionale dell’organizzazione del lavoro.
Il massiccio impiego del lavoro agile ha acuito l’esigenza di revisionare la disciplina ordinaria in materia (l. n. 81/2017), soprattutto allo scopo di valorizzare l’utilizzo dello smart working in modo strutturale, anche nel periodo post-pandemico. Al riguardo, nel settore pubblico sono state emanate le ‘Linee guida in materia di lavoro agile nelle amministrazioni pubbliche’, approvate in sede di Conferenza Unificata il 16 dicembre 2021. Parallelamente, in data 7 dicembre 2021 è stato approvato il ‘Protocollo nazionale sul lavoro in modalità agile’, che fornisce le linee di indirizzo sull’uso dello smart working nel settore privato. Gli orientamenti integrano la disciplina sul lavoro agile (l. n. 81/2017), allo scopo di fornire un quadro di riferimento per la contrattazione collettiva impegnata a regolare l’uso del lavoro agile. Con specifico riferimento alla salute e sicurezza dei lavoratori agili, è confermata l’applicazione della disciplina ordinaria (artt. 18, 22 e 23, l. n. 81/2017). È poi sottolineato che trovano applicazione anche gli obblighi di salute e sicurezza sul lavoro del Testo Unico Sicurezza. Pertanto, il datore di lavoro deve garantire la salute e la sicurezza del lavoratore in smart working, fornendo tempestivamente a tale lavoratore e al RLS/RLST un’informativa scritta sui rischi generali e specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro. Tale informativa deve essere fornita con cadenza annuale e in occasione delle modifiche delle modalità di svolgimento del lavoro agile rilevanti ai fini della salute e sicurezza. È inoltre riproposto l’obbligo, in capo ai lavoratori, di cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione e protezione. In relazione all’ambiente di lavoro, la prestazione di lavoro in modalità agile deve essere eseguita esclusivamente in ambienti idonei, ossia nel rispetto delle norme in materia di salute e sicurezza e di riservatezza dei dati. A livello attuativo, le modalità applicative del Testo Unico Sicurezza al lavoro agile saranno stabilite dalla contrattazione collettiva nazionale e di secondo livello.
Infine, è ribadito il diritto del lavoratore agile alla tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. In particolare, il datore di lavoro deve garantire la copertura assicurativa INAIL anche per i rischi di infortuni in itinere e derivanti dall’uso dei videoterminali.
È pertanto evidente come il legislatore, nel corso degli ultimi due anni, si sia concentrato, per forza di cose, sulle indispensabili misure di contenimento, trascurando però tutta una serie di altre questioni, rimaste da tempo in sospeso e che necessitano di attenzione e interventi mirati, con specifico riferimento al mondo femminile.
Con il Covid-19 in Italia sono aumentate le disuguaglianze, e sono aumentati sia i poveri perché privi di lavoro sia i poveri nonostante il lavoro. Oltretutto, il basso tasso di occupazione delle donne, specie se hanno figli, sono poco qualificate e vivono nel Mezzogiorno, è uno degli elementi della catena che produce povertà. Sarebbero quindi certamente necessari interventi a sostegno dell’occupazione femminile, specie delle madri, sul versante sia delle politiche attive del lavoro sia delle misure di conciliazione famiglia-lavoro, a partire dai servizi educativi e di cura per la prima infanzia e la diffusione capillare del tempo pieno nella scuola dell’obbligo. Misure che permetterebbero alle madri di stare nel mercato del lavoro e allo stesso tempo funzionerebbero da strumenti di pari opportunità per i loro figli.
Ma come Associazione che tutela ed assiste anche le lavoratrici donne, infortunate e non, e le vedove e/o le figlie rimaste orfane di quanti hanno perso la vita per il lavoro, ci sembra doveroso accendere un faro su alcune criticità degne di essere portate all’attenzione confidando nell’intervento risolutivo del legislatore.
Punto di partenza di tutte le nostre riflessioni è il riconoscimento che la donna svolge sistematicamente due attività di pari dimensione e gravosità lavorativa prima ancora che sociale, se per lavorativa intendiamo qualsiasi attività che produce ricchezza e valore aggiunto per la comunità. Infatti accanto all’attività propriamente professionale che le donne svolgono all’esterno, vi è quella di cura della “società familiare”, che è loro affidata in via spesso esclusiva in virtù di una specifica “missione” riconosciuta anche a livello costituzionale.
La donna quindi, nel suo duplice ruolo di lavoratrice e responsabile della gestione familiare, deve tenere insieme due veri e propri lavori, entrambi caratterizzati dalla costrittività organizzativa e dalla responsabilità, di processo o prodotto, che fanno capo al lavoratore.
In questa situazione occorre chiedersi se ed in quale misura la condizione di donna influisca sulle cause e circostanze degli infortuni in azienda in modo diverso da quanto accade per gli uomini.
Crediamo infatti che sia fondamentale tenere fortemente conto dell’interazione fra le due dimensioni lavorative femminili, entrambe portatrici di fattori di stress e di affaticamento, almeno per quanto riguarda il lavoro domestico anche fuori da ogni possibile controllo; siamo di fronte, dunque, ad un logorio complessivo che mina salute e sicurezza della donna, quale che sia poi il luogo ove il rischio possa nel contingente tradursi in evento lesivo, in malattia lavoro correlata.
Ma un aspetto su cui l’ANMIL sta concentrando i propri sforzi e che vogliamo fortemente portare all’attenzione di tutti è quello della tutela dei familiari di coloro quotidianamente perdono la vita a causa del lavoro, sostenendo l’urgenza di interventi mirati in favore di questi familiari superstiti delle vittime del lavoro: in particolare le vedove che si trovano all’improvviso da sole a dover sostenere il carico familiare e mantenere figli che spesso sono ancora studenti. In loro favore sarebbe dunque auspicabile un ampliamento della quota di riserva riconosciuta per legge (art. 18 comma 2 della L. 68/99), istituendone una dedicata ai superstiti delle vittime del lavoro come anche ai coniugi e figli di grandi invalidi del lavoro, fissandola al 7% per i datori di lavoro che occupano più di 150 dipendenti e in 3 lavoratori per coloro che occupano da 51 a 150 dipendenti.
L’attuale quota dell’1% risulta infatti del tutto insufficiente a garantire idonee opportunità di occupazione a tali categorie che troppo spesso rimangono disoccupate, pure a fronte di situazioni spesso delicate dal punto di vista economico e sociale. Al dolore della perdita di un proprio caro, si aggiungono infatti difficoltà materiali che solo un lavoro può mitigare. Prendere dunque in carico queste famiglie è un atto di responsabilità che lo Stato dovrebbe compiere quale riconoscimento del loro grande sacrificio.
Altra questione degna di nota riguarda il diritto al collocamento mirato con precedenza rispetto ad ogni altra categoria e con preferenza a parità di titoli per le categorie equiparate alle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata, ossia gli orfani e superstiti delle vittime del lavoro: per tali categorie, la direttiva 1/2019 della Presidenza del Consiglio dei Ministri (che ha stilato le linee guida in materia di collocamento mirato obbligatorio nella Pubblica Amministrazione) ha sottolineato tuttavia come non esista un criterio di priorità tra queste categorie “privilegiate”, invitando le pubbliche amministrazioni ad effettuare le assunzioni in maniera oggettiva ed imparziale, adottando a tal fine appositi bandi per la copertura dei posti disponibili.
È evidente come una simile previsione non riesca a soddisfare in pieno il legittimo diritto dei soggetti equiparati al collocamento mirato tramite chiamata nominativa all’interno delle pubbliche amministrazioni, dove troppo spesso le vedove ma soprattutto gli orfani di vittime del lavoro si trovano a non poter beneficiare del criterio di priorità che viene di fatto riconosciuto in primis alle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata, in virtù della normativa di cui alla L. 407/1998.
Su questo sarebbe dunque auspicabile un intervento chiarificatore del legislatore che possa agevolare la categoria degli orfani e dei superstiti delle vittime del lavoro.
Queste misure potrebbero rappresentare un primo passo per dare il giusto risalto e l’attenzione che merita la dimensione femminile del lavoro, nell’ottica per cui il principio costituzionale di uguaglianza e non discriminazione di genere deve essere applicato nel senso più profondo, secondo il quale la repubblica deve riconoscere un maggior sostegno a chi più ne ha bisogno ed una maggiore tutela a chi, nella famiglia, svolge un ruolo di importanza straordinaria ed insostituibile, pur mantenendo il diritto al lavoro, alla propria emancipazione culturale e sociale, alla propria libertà di azione.
Donna, lavoro e infortuni negli anni della pandemia
Come abbiamo visto, gli anni 2020 e 2021 saranno ricordati tra i peggiori periodi della storia della Repubblica italiana. La crisi prodotta dalla pandemia da Covid-19 e dai conseguenti provvedimenti adottati per contrastare l’emergenza sanitaria, ha stravolto in profondità il funzionamento dell’economia, del mercato del lavoro e della vita sociale e familiare di tutta la popolazione, con impatti diversificati per settori, territori e genere, allargando diseguaglianze storiche già preesistenti, a ulteriore svantaggio soprattutto della componente femminile.
-
GLI EFFETTI SOCIOECONOMICI
Già prima della pandemia da Covid-19 la situazione della “gestione organizzativa” all’interno della famiglia italiana era tutt’altro che soddisfacente. Da sempre, infatti, la conciliazione delle esigenze familiari e lavorative rappresenta un’area di forte criticità per la donna che lavora, specie se sposata, con figli disabili a carico.
Secondo i dati del Rapporto ISTAT 2020, che fotografava la situazione 2019 (quindi ante Covid), il 36% delle donne occupate con figli minori di 15 anni dichiarava gravi problemi di conciliazione; quota che sale al 40% se il figlio più piccolo ha meno di sei anni. Notoriamente, il peso dell’adattamento dell’attività lavorativa agli equilibri familiari ricade principalmente sulla componente femminile: il 38,3 % delle madri occupate è costretto a modificare il proprio orario di lavoro, mentre i padri lo fanno in misura molto minore (11,9%). Il risultato più evidente di una tale situazione è che il tasso di occupazione femminile si attestava nel 2019 intorno al 50%, in misura nettamente inferiore sia rispetto agli uomini (68%), ma anche rispetto alla media delle donne dei Paesi dell’Unione Europea. (63% circa).
In questo contesto, già di per sé poco edificante, la pandemia ha avuto un ulteriore forte impatto sull’organizzazione familiare con riflessi pesanti sui carichi di cura, sugli equilibri di convivenza, e con conseguenze particolarmente gravose per l’occupazione femminile soprattutto nel 2020. Durante le fasi di lockdown, infatti, il 74% delle donne ha continuato a lavorare (rispetto al 65% degli uomini) dovendo garantire servizi essenziali in settori di attività a forte vocazione femminile come scuola, sanità e pubblica amministrazione. Inoltre, con la chiusura delle scuole, quasi 3 milioni di lavoratrici con un figlio a carico con meno di 15 anni, hanno dovuto al tempo stesso lavorare e assistere i figli impegnati nella didattica a distanza. Sotto la pressione di questi impegni, sempre più donne hanno dovuto abbandonare il lavoro: nell’anno 2020 rispetto al 2019, si era registrato un calo complessivo di 444mila occupati di cui ben 312mila donne, oltre il 70% del totale
L’industria, dove il lavoro maschile è prevalente, aveva retto di più, mentre sono stati soprattutto i servizi, tradizionale bacino di impiego femminile, a pagare il prezzo più caro: in particolare, il sistema alberghiero e ristorativo, dove le donne rappresentano il 50,6% dell’occupazione e i servizi di assistenza domestica (colf e badanti), dove il lavoro femminile arriva quasi al 90%, hanno contribuito in maniera decisiva al saldo occupazionale negativo registrato in questo periodo.
Fortunatamente, a seguito della massiccia campagna di vaccinazione che ha drasticamente ridotto gli effetti della pandemia, dagli inizi del 2021 si è delineata e progressivamente rafforzata una decisa ripresa delle attività produttive che ha portato ad un bilancio consuntivo annuo molto positivo, sintetizzato da una crescita del PIL che, oltre le previsioni più ottimistiche, si è attestato a + 6,5%; un risultato molto importante anche se ancora non sufficiente a compensare il crollo dell’8,9% registrato nell’anno precedente. In forte crescita anche la produzione industriale che, si stima, nel 2022 dovrebbe raggiungere i livelli pre-Covid. Segnali positivi arrivano, inoltre, dai redditi e dai consumi delle famiglie e, soprattutto, dal mercato del lavoro, con una ripresa dell’occupazione e una riduzione della disoccupazione.
Gli ultimi dati diffusi dall’Istat, relativi al mese di dicembre 2021, hanno come tratto distintivo un aumento dell’occupazione femminile: su base annua c’è stato un vero e proprio balzo in avanti con ben 377mila (+4,1%) contratti in più rispetto a dicembre 2020; il tasso di occupazione femminile si attesta al 50,5%, dato in assoluto non esaltante, ma il più elevato nella storia del nostro Paese.
Se si guarda però alla tipologia dei contratti di lavoro si nota che a trainare la ripresa sono ancora una volta i contratti a termine, soprattutto per donne e giovani.
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GLI EFFETTI INFORTUNISTICI
In questo contesto, per molti versi così travagliato, anche la fisionomia del fenomeno infortunistico non poteva non venire stravolta dalla “tempesta perfetta” scatenata dalla pandemia da Covid-19 che si è abbattuta su tutte le componenti del mondo del lavoro. Ma a farne le maggiori spese, anche in questo caso, sono state le donne.
Se da una parte il calo della produzione e delle ore lavorate ha comportando una netta riduzione degli esposti al rischio di infortunio e, di conseguenza, un effetto “benefico” sul fenomeno infortunistico riducendone il numero, dall’altra parte questa stessa riduzione è stata in gran parte compensata da una nuova tipologia di infortuni sul lavoro: quelli da infezione da Covid in ambito lavorativo che sono stati equiparati agli infortuni strettamente lavorativi dal D.L. 18/2020 del 17 marzo 2020.
Dai dati elaborati dall’INAIL, con riferimento al consuntivo 2020-2021, si rileva che nel biennio sono stati denunciati complessivamente circa 191.000 infortuni da infezione da Covid in ambito lavorativo; di questi ben 130.000, pari al 68,3% del totale, hanno colpito la componente femminile, contro il 31,7% di quella maschile. La situazione si capovolge nel caso di infortuni mortali: 811 casi in complesso, di cui 669 hanno colpito gli uomini (82,5%) e 142 le donne (17,5%).
Da segnalare che gli infortuni da infezione da Covid sono stati rilevati da INAIL al 31 dicembre di ciascun anno e pertanto sono da considerare del tutto provvisori e quindi suscettibili di ulteriori incrementi, anche di un certo rilievo.
Tav. 1 – Infortuni da Covid in ambito lavorativo per genere. Anni 2020-2021
|
||||
GENERE |
Infortuni |
% |
Casi mortali |
% |
MASCHI |
60.606 |
31,7 |
669 |
82,5 |
FEMMINE |
130.440 |
68,3 |
142 |
17,5 |
Totale |
191.046 |
100,0 |
811 |
100,0 |
Fonte: elaborazione ANMIL su dati INAIL |
La classe di età maggiormente coinvolta è quella delle lavoratrici anziane (50-64 anni) che rappresenta oltre il 42% del totale infortunate; segue la classe di età centrale (35-49) con circa il 38%, mentre molto più limitati gli infortuni della classe di lavoratrici più giovani (fino a 34) con il 18,1% e quella più anziana (65 e oltre) con 1,3%. La stessa classe di età (50-64 anni) è nettamente prevalente tra le donne infortunate con esito fatale (oltre 2/3 del totale).
L’età media delle donne infortunate è di 46 anni (la stessa degli uomini), mentre l’età al decesso è di 57 anni per la componente femminile e di 59 per quella maschile.
Tav. 2 – Infortuni femminili da Covid per età. Anni 2020-2021 |
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CLASSE DI ETA’ |
N. |
% |
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fino 34 |
24.081 |
18,5 |
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35 -49 |
49.390 |
37,9 |
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50 – 64 |
55.161 |
42,3 |
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65 e oltre |
1.808 |
1,3 |
Totale |
130.440 |
100,0 |
Fonte: elaborazione ANMIL su dati INAIL |
Tav. 2 – Infortuni mortali femminili da Covid per età. |
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CLASSE DI ETÀ |
N. |
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% |
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fino 34 |
– |
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– |
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35 -49 |
20 |
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14,1 |
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50 – 64 |
96 |
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67.6 |
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65 e oltre |
26 |
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18,3 |
Totale |
142 |
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100,0 |
Fonte: elaborazione ANMIL su dati INAIL |
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A livello territoriale, la pandemia da Covid ha colpito molto duramente soprattutto le aree del Nord del Paese, dove nel biennio 2020-2021 si sono registrati poco meno di 94.000 infortuni femminili, pari al 72% del totale nazionale (45,7% nel Nord-ovest e 26,3% nel Nord-est). La regione con il più alto numero di infortuni femminili è in assoluto la Lombardia, con quasi 35.000 casi pari al 26,7% del totale nazionale; seguono in graduatoria le regioni del nord più importanti, sia dal punto di vista demografico che produttivo: Piemonte (14,4%), Veneto (11,3%) ed Emilia Romagna (8,9%). Quote significative si registrano anche al Centro, in particolare Lazio (6,0%) Toscana (5,7%) e Marche (2,4%). Al Sud le regioni con il più alto numero di infortuni femminili da Covid sono la Campania (circa 5.000 infortuni pari al 3,8% del totale nazionale) e la Puglia (2,9%). Nelle Isole, la Sicilia e la Sardegna contano rispettivamente il 2,3% e l’1,5% del totale nazionale.
Poche centinaia di casi con valori percentuali inferiori all’unità si registrano, infine, nelle regioni di minori dimensioni demografiche: Umbria (0,7%), Calabria (0,6%), Valle d’Aosta (0,5%), Basilicata (0,4%) ed ultimo il Molise con poco più di 300 infortuni femminili denunciati ed una quota di appena lo 0,2%.
Per quanto riguarda i casi mortali l’Inail non ha diffuso i dati a livello regionale distinti per genere; tuttavia, riteniamo che la ripartizione per genere degli infortuni mortali regionali non si discosti molto da quella relativa agli infortuni in generale.
Tav. 3 – Infortuni femminili da Covid per regione. |
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Anni 2020-2021
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REGIONE |
N. |
% |
LOMBARDIA |
34.795 |
26,7 |
PIEMONTE |
18.717 |
14,3 |
VENETO |
14.717 |
11,3 |
EMILIA ROMAGNA |
11.643 |
8,9 |
LAZIO |
7.765 |
6,0 |
TOSCANA |
7.495 |
5,7 |
LIGURIA |
5.128 |
3,9 |
CAMPANIA |
5.007 |
3,8 |
TRENTINO ALTO ADIGE |
4.490 |
3,4 |
PUGLIA |
3.774 |
2,9 |
FRIULI VENEZIA GIULIA |
3.508 |
2,7 |
MARCHE |
3.121 |
2,4 |
SICILIA |
2.997 |
2,3 |
ABRUZZO |
2.084 |
1,6 |
SARDEGNA |
1.934 |
1,5 |
UMBRIA |
930 |
0,7 |
CALABRIA |
752 |
0,6 |
VALLE D’AOSTA |
685 |
0,5 |
BASILICATA |
582 |
0,4 |
MOLISE |
316 |
0,2 |
ITALIA |
130.440 |
100,0 |
Fonte: elaborazione ANMIL su dati INAIL |
Rispetto ai settori di attività produttiva coinvolti dalla pandemia, le pur ricchissime statistiche elaborate dall’INAIL non forniscono dati sugli infortuni da infezione da Covid distinti per genere. In generale, comunque, gli operatori della Sanità e assistenza sociale (ospedali, case di cura e di riposo, istituti, cliniche e policlinici universitari, residenze per anziani e disabili) sono di gran lunga i lavoratori più colpiti con il 64,6% di infortuni (circa 123.400) sul totale generale. Questo settore, che si è trovato sempre in prima linea nel corso della pandemia, è caratterizzato da una forte presenza femminile: circa il 70% del personale sanitario è donna; non è pertanto da escludere che la componente femminile rappresenti almeno la metà degli infortunati del settore (nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di infermiere).
Se la gran parte degli infortuni da Covid ha riguardato innanzitutto gli operatori sanitari, che sono esposti a un elevato rischio di contagio, ci sono anche altre attività lavorative a rischio, in particolare quelle che comportano un contatto costante e diretto con il pubblico o l’utenza (lavoratori che operano in front-office, alla cassa, agli sportelli, addetti alle vendite, ecc.). Ed infatti, al secondo posto di questa triste graduatoria troviamo i lavoratori della Pubblica Amministrazione con il 9,2% di infortuni (circa 17.600); anche in questo settore (in particolare gli operatori di organismi preposti alla sanità, alle Asl e alle amministrazioni locali) la componente femminile ha una presenza molto consistente. Seguono: il settore dei Servizi di supporto alle imprese (servizi di vigilanza, pulizia, call center,…) con il 4,4% (circa 8,400 infortuni), anch’esso a forte vocazione femminile; il settore Manifatturiero (tra le prime categorie coinvolte ci sono gli addetti alla lavorazione di prodotti alimentari, di prodotti farmaceutici, di metalli, di macchinari e di pelli) con il 3,2% (circa 6.100 infortuni); il settore dei Servizi di alloggio e ristorazione con il 2,5% (circa 4.800 infortuni); il settore del Commercio all’ingrosso e al dettaglio con il 2,3% (circa 4.400 infortuni); il settore Altre attività di servizi (che comprende pompe funebri, lavanderie, riparazione di beni alla persona, parrucchieri, centri benessere, ecc.) con l’1,9% (circa 3.600 infortuni).
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Per quanto riguarda, infine, i casi mortali, gran parte dei 142 decessi femminili da infezione da Covid si è verificato nel settore della Sanità (ben oltre la metà); in misura molto minore nella Pubblica Amministrazione, nel Commercio, nell’ Industria manifatturiera e nei Servizi di supporto alle imprese.