Quel fatto che non sussiste
Roberto Rossi: “Ipotesi ricorso“
Tre sostituti procuratori a sostenere l’accusa: i magistrati Andrea Claudiani che nel corso del procedimento ha lasciato Arezzo per il tribunale di Perugia, Angela Masiello e Julia Maggiore (nella foto) sotto il coordinamento del procuratore capo Roberto Rossi, che dopo la sentenza ha preso atto che “l’impianto accusatorio è completamente caduto“. Per poi aggiungere: “Aspettiamo di leggere le motivazioni, ma è evidente che l’ipotesi di ricorso in appello diventa plausibile“. E ammette: “Questa sentenza si pone in contraddizione con quella precedente relativa alle condanne comminate per bancarotta con rito abbreviato“. A gennaio 2019 col rito abbreviato erano stati condannati quattro imputati, tra cui l’ex presidente Giuseppe Fornasari e l’ex direttore generale Luca Bronchi.
La sentenza: una sola condanna
E’ il finanziere trentino Alberto Rigotti, ex consigliere della banca, che avrebbe distratto e dissipato i beni della banca deliberando prestiti milionari alla Abm Merchant spa, società di cui era consigliere, accumulando sofferenze per 15 milioni di euro. Assolti gli altri 22 imputati, ex dirigenti, consiglieri ed ex revisori, come da dispositivo pronunciato alle ore 9.30 del primo giorno di ottobre dal presidente del collegio Gianni Fruganti, Ada Grignani e Claudio Lara a latere: “il fatto non sussiste” nemmeno per Enrico Fazzini, ex presidente dei commercialisti di Firenze, deceduto la scorsa estate. I pm Julia Maggiore e Angela Masiello avevano invece chiesto condanne da uno a sei anni per bancarotta fraudolenta o semplice per Lorenzo Rosi, l’ultimo presidente del cda della defunta banca aretina, Giorgio Guerrini e Giovanni Inghirami, vice presidenti, Federico Baiocchi De Silvestri, Augusto Federici, Mario Badiali, Sauro Lo Presti, Piero Burzi, Franco Arrigucci, Paolo Luigi Fumi, Giampaolo Crenca, Paolo Cerini, Carlo Platania, Alberto Bonaiti, Massimo Tezzon, Carlo Polci, Luigi Bonollo, Gianfranco Neri, Maurizio Bartolomei Corsi, Ugo Borgheresi, Laura Del Tongo, Andrea Orlandi. Per tutti il fatto non sussiste, cioè la condotta criminosa ascritta agli imputati non è mai esistita, non è mai stata compiuta da alcuno.
In morte di una banca
Erano soldi veri però i 180 milioni di euro di crediti concessi e mai rientrati per finanziare, tra gli altri, Privilege, il maxi yacht rimasto incompleto in un cantiere navale di Civitavecchia, soldi veri altri milioni per il relais Villa San Carlo Borromeo, Sacci o Città Sant’Angelo Village, in provincia di Pescara. La banca di Arezzo venne commissariata nel febbraio 2015 e sottoposta al decreto di “risoluzione” (una specie di fallimento pilotato) nel successivo mese di novembre, con la cancellazione delle azioni – in mano a circa 65mila soci – e delle obbligazioni subordinate (per un valore attorno ai 147 milioni di euro) in mano a circa 4.700 clienti privati. L’istituto aretino fallì nel febbraio 2016. Sarebbe opportuno capire, numeri alla mano, quale sia stata la ricaduta negativa effettiva e complessiva del fallimento della banca su aziende e famiglie del territorio aretino e non solo, visto che Etruria aveva una dimensione come minimo interregionale.
Amarezza e sollievo
Tanto che si conta un suicida nel Lazio. Lidia Di Marcantonio, vedova di Luigino D’Angelo, il pensionato di Civitavecchia che si tolse la vita il 28 novembre 2015 dopo la perdita dei risparmi, costituitasi parte civile, affida il proprio pensiero all’avvocato Carlo Ricci Barbini: “Amareggiata, ma i soldi del risarcimento non mi avrebbero restituito mio marito“.
«Una sentenza da cancellare — il commento di Angelo Caramazza, uno dei risparmiatori che ha perso tutto. “Chiederemo un incontro al ministro della giustizia». «Faremo appello sperando di avere giustizia “, dice l’avvocato Lorenza Calvanese che assiste sette risparmiatori. “Non sarebbe la prima volta che una sentenza del tribunale di Arezzo viene ribaltata nel secondo grado“. Secondo l’Associazione Vittime del Salvabanche, con il crac Etruria sono «stati bruciati i risparmi di 35mila toscani, polverizzati 300 milioni di euro di obbligazioni e azioni».
Lorenzo Rosi, ultimo presidente del cda di Banca Etruria, tramite l’avvocato Giunta, definisce la sentenza come “la fine di un incubo” e sintetizza: “Il Tribunale di Arezzo ha smontato il teorema: la crisi della Banca non era riconducibile a responsabilità degli amministratori“.
«Questa sentenza conferma che Banca Etruria doveva essere salvata e che Fornasari e Bronchi dovevano essere già assolti in udienza preliminare — il commento del difensore di Fornasari, l’avvocato Nino D’Avirro – i fatti per cui sono stati condannati sono quelli esclusi dal tribunale».
«È stata restituita la dignità a un uomo che ha sofferto per anni sotto il peso di accuse enormi» le parole del professor Davide Brunelli, difensore di Giovanni Inghirami, ex vicepresidente della Banca. «La sentenza ci dice che i responsabili del crac non sono da ricercare nei professionisti che hanno erogato i finanziamenti ma in chi non ha restituito i soldi ricevuti» dice l’avvocato Luca Fanfani, difensore di Ugo Borgheresi e Gianfranco Neri.
Giorgio Guerrini, della banca altro ex vice presidente: “Provo grande gioia, è stata dura. Le basi della mia famiglia e gli amici hanno retto all’impatto. Fatta chiarezza su un gruppo di dirigenti che non ha avuto responsabilità sul default della Banca“.