Scalfari: gigante del giornalismo e grande intellettuale. La Costituzione come faro
“Si muore desiderando“, diceva alle figlie. “Desiderando di scrivere. Desiderando di amare. Desiderando di essere sempre nelle contraddizioni del mondo“. Classe 1924, compagno di banco di Italo Calvino, è stato balilla moschettiere in epoca fascista, ma nel 1943 viene cacciato dal Guf per un articolo pubblicato da “Roma fascista” sulla corruzione dei gerarchi. Ha iniziato a “Il Mondo“, ma è stato soprattutto il primo direttore-manager dell’editoria italiana, padre di due ‘creature’, L’Espresso, anno di nascita 1955 e Repubblica nel 1976. Due iniziative editoriali nate dal nulla, ma che in pochi anni non solo hanno raggiunto i vertici della diffusione, ma lasciato anche un’impronta indelebile. E’ nel 1962 che del suo quotidiano diventa il primo direttore-manager italiano, una figura all’epoca assolutamente inedita per il nostro Paese, alla base del successo di Repubblica. Ricordo che negli anni “pre web”, i pendolari del treno del mattino da Arezzo a Firenze, studenti e lavoratori, commentavano gli articoli del suo quotidiano, in attesa degli editoriali di approfondimento ragionato del Maestro della domenica mattina. Ci nutrivamo di “pane e Repubblica”. La sua “creatura” è stata per anni un punto di riferimento imprescindibile per tentare di districarsi nella labirintica politica italiana ed internazionale. Lucido, analitico, amico di Papi, Capi di Stato, presidenti del Consiglio, critico implacabile del ventennio berlusconiano, Scalfari ha cresciuto generazioni di aspiranti giornalisti, avendo sempre la Costituzione della Repubblica Italiana come faro e stella polare. Con la Toscana poi aveva un legame speciale: ha diretto per cinque mesi una casa da gioco nell’Italia del dopoguerra, a Chianciano Terme, seguendo le istruzioni del padre, direttore del casinò di Sanremo e per anni è stato presenza costante a Capalbio, in compagnia del fraterno amico Carlo Caracciolo. “La forza dell’impegno e la leggerezza della scrittura. Ma anche la felicità dell’intellettuale in un Paese nel quale gli intellettuali sono infelici. Ecco la sua cifra inimitabile“, così lo ricorda Francesco Merlo, uno dei suoi editorialisti. Un punto di riferimento. Uno dei più grandi direttori. Mancherà.