Alessandro Gori: “Mai tentato di andarmene dalla mia terra, è qui che mi sento libero”
Apriamo il nuovo anno incontrando Alessandro Gori, autore di “Gruppo di Leprecauni in un interno”, edito da Rizzoli. E’ la settima fatica letteraria di Gori, detto “Lo Sgargabonzi“, classe 1978, nato e residente nelle campagne della Val di Chiana. Si tratta di una raccolta di racconti che mescolano il grottesco e l’umorismo nero con una buona dose di malinconia. Personaggi strambi e situazioni paradossali si susseguono, offrendo uno spaccato della società contemporanea visto con gli occhi irriverenti di Gori. Temi come l’amicizia, l’amore, la morte e la famiglia, vengono affrontati con leggerezza e ironia, ma senza mai perdere di vista la complessità dell’animo umano. Gori aka “Lo Sgargabonzi” ci ha generosamente dedicato un po’ del suo tempo.
Cosa l’ha ispirata a scrivere racconti così surreali e grotteschi, in particolare nel suo ultimo libro “Gruppo di Leprecauni in un interno”?
Gruppo di Leprecauni è un bestiario, un manuale di caccia e insieme un inferno dantesco totalmente personale e fazioso. Cerco di snidare i demoni minori del nostro contemporaneo e pigliarli a schicchere come briciole da un tavolaccio.
C’è un evento o un autore in particolare che ha influenzato il suo stile?
Non particolarmente. Non sono mai stato un lettore, avrò letto venti libri in vita mia a dir tanto e nessuno è stato per me uno spartiacque. Penso che un artista debba bastarsi da solo e rifuggire a scuole, corsi, seminari e anche semplicemente consigli. Le mie influenze arrivano tutte dall’esterno, che siano i dischi degli Squallor, i film di Renato Pozzetto, i fumetti di Carlo Peroni o i giochi da tavolo di Reiner Knizia.
Come ha creato personaggi così bizzarri e memorabili come, per esempio, il Capodoglio Olivetti o il dottor Kevorkian?
Non c’è una tecnica. Sono tutte mie emanazioni, le mie proiezioni psichiche, mi è venuto molto facile. Perseguo sempre quello che mi viene naturale e che è armonico col mio essere. Penso che le salite nella vita siano il segno che quella non è la tua strada. Del resto le discese che incontriamo sono le salite di altri, quindi non sottovalutiamole. Sono quelle la strada giusta per esprimere il proprio Io.
C’è un particolare legame emotivo con uno di loro?
Non particolarmente. Non metto molta emotività nei miei scritti. Vengo dalla campagna e ci hanno insegnato a tenere per noi le emozioni. Cosa che approvo, specie in quest’epoca in cui l’emotività e il racconto delle proprie fragilità sono le monete più inflazionate.
Perché ha scelto di affrontare temi come l’amicizia, l’amore e la morte con un tono così ironico e a volte macabro? Penso a racconti come Dodici Mesi o Facedeath.
E’ quello che facevo fin da piccolo e non ho imparato niente di nuovo negli ultimi quarant’anni. Ho sempre amato agglutinare comico e macabro. Facevo la prima elementare quando vinsi un premio provinciale per pittori in erba con un disegno intitolato “La morte”. Nonostante questo ero un bambino estroverso, divertente e accentratore.
Come definirebbe il suo stile narrativo?
Non lo definirei. Scrivo le uniche cose che so scrivere nell’unica maniera in cui so scriverle. Di sicuro per me la comicità non è finalizzata alla risata ma è un atto puro, libero, selvaggio e misterioso che sfugge anche a chi lo compie. Più simile alle macchie di colore di Jackson Pollock che a una macchina per il solletico.
Il fatto di essere nato in Val di Chiana rispetto a una grande città le ha dato più libertà o è stata una limitazione?
Mi ha dato molta più libertà. In un paesino perso in una pianura piatta come la minzione d’un cane, devi per forza far lavorare la fantasia. Ma non ho mai avuto la tentazione di evadere da qui, ho sempre detto di no a tante succulente offerte di lavoro per cui altri avrebbero dato via una gamba. Anzi, è ogni volta che mi propongono di andarmene che ho l’ansia di picchettare tutto perché niente cambi. Del resto, di fare l’autore televisivo, curare un mio podcast o scrivere sceneggiature per il cinema non me ne può fregare di meno.
Il suo prossimo progetto?
Sono un appassionato di giochi da tavolo e mi piacerebbe farne uscire uno mio. Magari un gioco di speculazione azionaria. Ma quello non è il mio campo, quindi lo farò solo se sarò molto ispirato. Per adesso sono al lavoro su un paio di idee.
Con la sua carriera, con l’uscita del suo settimo libro e della sua esperienza teatrale, dove si vede tra 10 anni?
In una bara al centro della terra mangiato ed evacuato in eterno da manguste immortali.
Sinossi del libro
Il leprecauno è presto detto: gnomo di importazione, ex agente del caos oggi imbolsito dal folklore, pacificato ma non meno scalpicciante, tutto panciotti, barbe a elastico e pipe in bruyère. Il leprecauno moderno pare fatto apposta per essere snidato – sono sufficienti un pettinino e tanta pazienza – e proiettato altrove con una schicchera, come briciole da un tavolaccio. Considerate il presente testo, quindi, un agevole manuale di caccia. Gori torna affamato di sfaceli con un grappolo di racconti mai così monelli, scatologici, adolescenziali, gioiosamente impresentabili: tra esteti del cappuccino e acrobati del boudoir, indie sanremese e lutti social, ristoratori romani e oncologi sul triclinio. Si arresta galantuomo dinnanzi a pochi, selezionati intoccabili (la Riviera Romagnola, un Pietro Pacciani al centro dell’entropia), ma è solo un attimo prima di tornare, con indice allenato, a disfare di schicchere i demoni minori del nostro contemporaneo.
L’autore Alessandro Gori
Nasce e abita nelle campagne della Val di Chiana. È laureato in Psicologia, scrittore, comico e creatore della pagina Facebook “Lo Sgargabonzi”. Ha pubblicato Le avventure di Gunther Brodolini (2013), Bolbo (2014), Il problema purtroppo del precariato (2015) e Jocelyn uccide ancora (2018).