Torna il Premio Pieve, in gara le storie di vita della “gente comune”. A Guccini il premio Città del Diario
Il Premio Pieve si terrà anche quest’anno: l’Archivio dei diari di Pieve Santo Stefano aprirà al suo pubblico le piazze della “Città del diario” dal 18 al 20 settembre per ripartire “Come pagine bianche“. Tre giornate scandite dalle memorie di “gente comune” nel corso di incontri con autori, studiosi, giornalisti, appuntamenti teatrali, presentazioni editoriali, esposizioni di manoscritti originali.
Mai come quest’anno, le testimonianze custodite dall’Archivio dei diari rappresentano per il Premio la base per indagare questo presente e scegliere le parole per raccontarlo: “Memorie in piazza” sarà come sempre il punto di arrivo del Premio Pieve, domenica 20 settembre, con gli otto diari finalisti e l’annuncio del vincitore dell’edizione 2020. Sul palco con Guido Barbieri, storica voce di Radio3 Suite, Andrea Biagiotti introdurrà i diari in concorso mentre Mario Perrotta e Paola Roscioli ne interpreteranno alcuni brani.
Incrociano il secondo conflitto mondiale e molto altro le vivide memorie di Giovanna Battista Eventi (Napoli, 1939), il puntuale diario di Umberto Guidotti (Torino, 1925-2002), giovanissimo volontario della X Mas recluso in un campo di prigionia, e di Raffaele Resta (Bari, 1922-1977), autiere ventenne che affronta la campagna di Russia con indomabile irriverenza e voglia di vivere; l’autobiografia di Paolo Schiavocampo (Palermo, 1924), artista plastico di fama internazionale. Jean-Paul Habimana (Nyamasheke, 1984) racconta la lotta per la sopravvivenza durante il genocidio in Ruanda nelle pagine della sua memoria; Anna De Simone (Massa D’Albe, L’Aquila, 1954), una vita difficile iniziata nella violenza, come Tania Ferrucci (Napoli, 1960), nata bambino che fin da piccolo si sente diverso e ben presto comprende la sua natura, mentre Rosenza Gallerani (Cento, Ferrara, 1951) affida alla sua memoria il racconto doloroso della scoperta e del decorso di una malattia alla quale rifiuta di arrendersi.
A un grande artista, Francesco Guccini, musicista e scrittore, sarà assegnato il Premio “Città del Diario” 2020, mentre Annalisa Camilli ritirerà il Premio “Tutino Giornalista”, istituito dall’Archivio per ricordare la figura del suo fondatore. Inviata della rivista Internazionale, Camilli ha realizzato inchieste e coraggiosi reportage sugli episodi di razzismo in Italia e sulle rotte dei migranti. Le parole dell’esilio, delle aspettative di chi è costretto a lasciare il proprio Paese, attraversano anche il progetto “DiMMi – Diari Multimediali Migranti“, ideato dall’Archivio dei diari con diversi partner. Introdurranno “Il confine tra noi. Storie migranti” (Terre di mezzo, 2020), raccolta dei racconti premiati nel 2019, Michele Colucci e Alessandro Triulzi alla presenza degli autori, incontro seguito dalla presentazione dei vincitori della quinta edizione del concorso.
Diari che diventano libri
Oltre che in “Il confine tra noi“, le voci di “DiMMi” si incrociano e si specchiano nel libro curato da Nicola Maranesi “L’abisso non ci separa. Storie di arrivi e partenze” (Terre di mezzo, 2020), ispirato
alla trasmissione “Io vado via” (Rai Radio3, 2019) e presentato con la giornalista Monica D’Onofrio. Sono diventati libri anche “Cromosoma 4, viaggio nell’inferno della Sla” documentato dalla
straordinaria diarista aretina Paola Nepi, in concorso nel 2017 con la memoria “Lo strappo“, ora diventata libro (Aska Edizioni), presentato da Guido Barbieri, autore della magnifica introduzione, e “Come un arco teso. Autobiografia di una figlia del Risorgimento” (Terre di mezzo, 2020), premiata al Premio Pieve 2019, della diarista Eugenia Dal Bò, una donna che ha vissuto quasi un secolo di Storia e combattuto per i suoi diritti in un’Italia unitaria ma non ancora unificata nella cultura e nei costumi. Il volume è curato dalla professoressa Patrizia Gabrielli.
Diari a teatro
Alle storie raccolte nel volume “Il confine tra noi” è ispirata la mise en éspace del regista e attore Andrea Biagiotti e il tema della migrazione è trattato da Davide Enia nel monologo “L’abisso, racconto urgente e sciaguratamente attuale della tragedia degli sbarchi sulle coste del Mediterraneo“, mentre il naufragio di un individuo, la sua marginalità, la sua disperata consapevolezza di
essere artista, muove l’interpretazione di Mario Perrotta in “Un bès. Antonio Ligabue, uno spettacolo di struggente bellezza“, anticipato dal dialogo dell’attore con la critica teatrale Laura Palmieri.
Diari in mostra
Una selezione dei manoscritti originali depositati a Pieve Santo Stefano nell’ultimo anno sarà in mostra in “Il tesoro dell’Archivio“, a cura di Cristina Cangi; diari migranti “tradotti” in disegni nell’esposizione “Disegnami“, a cura di Giovanni Cocco, Lorenzo Marcolin, Barnaba Salvador.
Cosa vince chi vince il Premio Pieve
L’opera ritenuta più̀ meritevole dalla giuria nazionale, fra le otto finaliste, è premiata con 1.000 euro e la pubblicazione del testo, a cura della casa editrice Terre di mezzo.
Come partecipare
Gli scritti partecipanti al concorso, pervenuti in Archivio entro il mese di gennaio di ogni anno, vengono valutati – in base alla loro genuinità̀ originale – e quindi selezionati dalla commissione di
lettura fino alla scelta degli otto testi finalisti. Questi sono poi affidati all’esame della giuria nazionale. Non costituisce elemento di giudizio la forma eventualmente sgrammaticata o poco corretta della scrittura e, anzi, l’Archivio invita a rispettare la forma originaria del testo, senza apportare modifiche, tagli, correzioni o altre forme di rielaborazione.
Premio Pieve “Saverio Tutino” – Direzione artistica
Guido Barbieri, Camillo Brezzi, Natalia Cangi, Nicola Maranesi
Giulia nazionale
Guido Barbieri, Camillo Brezzi, Natalia Cangi, Gabriella D’Ina, Beppe Del Colle, Patrizia Gabrielli, Paola Gallo, Antonio Gibelli, Roberta Marchetti, Melania G. Mazzucco, Annalena Monetti, Maria
Rita Parsi, Stefano Pivato, Sara Ragusa, Nicola Tranfaglia
Info e prenotazioni
Fondazione Archivio Diaristico Nazionale
Piazza Amintore Fanfani 14, 52036 Pieve Santo Stefano (Ar)
tel. +39 0575 797730 – 0575 797731 – adn@archiviodiari.it
Gli otto diari finalisti, in breve
“Il sale della vita“, autobiografia, 1954-2018
Anna De Simone decide di raccontarsi, alla soglia dei 65 anni, in un’autobiografia in cui i ricordi delle violenze e delle privazioni si rincorrono e si sovrappongono in una scrittura a tratti caotica, a tratti lucidissima. La sua storia comincia in un paesino dell’Abruzzo, Massa D’Albe, dove nel 1954 Anna nasce all’interno di una famiglia disastrata: cresce in un brefotrofio, a otto anni torna a vivere a casa ma subisce una violenza sessuale da parte del nuovo compagno della madre. Viene mandata via di casa a lavorare come donna di servizio presso varie famiglie nella sua regione, poi a Roma e in Svizzera. Fughe continue, trascorre periodi vivendo per strada, a Roma, finché non viene rinchiusa di nuovo in un istituto governato dalle suore dove trascorre anni tra umiliazioni e repressione, prima di riguadagnare un’illusione di libertà. Rimane incinta, sola con un figlio in arrivo che vuole tenere e problemi economici insormontabili da affrontare.
“Vico Tagliaferro“, memoria, 1939-1952
Il primo ricordo d’infanzia della piccola Giovanna Battista Eventi (Napoli 1939) si ricompone sotto i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. La vita in città si fa sempre più pericolosa e la famiglia Eventi decide di sfollare a Boscotrecase, all’ombra del Vesuvio, dove una rete solidale accoglie Giovanna e i genitori. Dopo l’8 settembre il padre finisce in un campo di lavoro in Germania, dal quale torna solo dopo due anni. Dal marzo del 1944 una minaccia naturale si somma alle tragedie provocate dall’uomo: l’eruzione del Vesuvio impone un nuovo trasferimento ad Amalfi, da dove Giovanna e la madre, in compagnia di una zia, ritornano infine a Napoli. La città si è liberata della presenza dei nazisti ma presenta ancora ferite profonde nel tessuto urbano e nell’animo popolare, cercando di tornare a vivere. Giovanna scruta Napoli e ne racconta gli interpreti da un punto di osservazione che le resterà sempre caro, anche quando la vita la porterà altrove.
“Nei miei okki“, autobiografia, 1960-2010
Tania Ferrucci (1960) nasce bambino nei bassifondi di Napoli da un rapporto occasionale, la madre si prostituisce. A soli sette anni subisce violenza da uno dei tanti uomini che frequentano la sua casa. Finisce in collegio, poi per strada a chiedere l’elemosina. Quel bambino sin da piccolo si sente diverso, e presto comprende la sua natura. Diventa una fanciulla di nome Tania, che a 13 anni inizia a vendere il proprio corpo per sopravvivere. Tania per molti anni vive tra Napoli, Roma, Firenze, le province del Centro Italia. Si sottopone all’intervento di vaginoplastica, corona il sogno di avere un corpo femminile. È desiderata da molti clienti, ma non troverà mai un uomo che la ami. Abusa di alcol e droghe, dall’età di 39 anni entra e esce dalle case di recupero, fino a concludere il percorso di disintossicazione nel 2005. Conosce anche l’esperienza del carcere e la morte prematura di un fratello con il quale era riuscita a riallacciare i rapporti. Trova riscatto nel lavoro, come assistente sanitaria e segretaria, finalmente libera dalle dipendenze.
“Il male e la cura“, memoria, 2004-2014
Rosenza Gallerani (Cento, Ferrara, 1951) si sposa, mette al mondo due figli, lavora come insegnante e in una ditta fino al 2004, l’anno in cui scopre che qualcosa minaccia la sua salute. È la leucemia. Rosenza supera un’iniziale resistenza a intraprendere il percorso di cure ma per lei ha inizio un lungo calvario tra terapie invasive e medicinali che la indeboliscono nel corpo e nella mente, fino a provocarle stati confusionali e allucinazioni. La leucemia arretra e, dopo altre titubanze, arriva anche il momento del trapianto del midollo, che nel gennaio del 2005 Rosenza riceve da una sorella. Il trapianto riesce ma si manifesta la Graft, il sistema immunitario è minato. Rosenza e i suoi cari girano l’Italia in cerca delle migliori cure: ottiene dei lievi miglioramenti, spesso seguiti da ricadute, senza che arrivi mai una vera svolta.
“Seguendo la voce del dovere“, diario, 1945
Umberto Guidotti (Torino 1925-2002) comincia a scrivere il suo diario a Genova alla vigilia della Liberazione, il 24 aprile 1945. Per Umberto, volontario della X Mas, e per milioni di uomini e ragazzi che hanno aderito alla Repubblica Sociale Italiana, è la sconfitta degli ideali in cui sono cresciuti e del ceto politico e militare al quale hanno legato i propri destini. Genova sta per scrivere una pagina di storia, unico caso in cui la resa tedesca avviene direttamente nelle mani del Cln, di un popolo e di un esponente comunista. La consegna delle armi avviene nel pomeriggio del 26 aprile, da quel giorno l’Italia non è più riuscita a ricomporre la propria identità. “Ho la coscienza serena di aver compiuto il mio dovere, e, se occorresse, sarei pronto a ripeterlo“. Accompagnato da queste certezze Umberto giunge nel campo di internamento di Coltano, in provincia di Pisa, destinato alla reclusione degli aderenti alla Rsi. Vi saranno concentrate fino a 32mila persone, in difficili condizioni abitative, alimentari e sanitarie. Ma ben oltre le privazioni, sono i tormenti dell’anima a rendere insopportabili le giornate di Guidotti, fino al rilascio che avviene nell’ottobre ’45.
“L’ultimo genocidio del Novecento“, memoria, 1984-2014
La memoria di Jean Paul Habimana (Nyamasheke, Ruanda, 1984) parte dal 6 aprile 1994, quando un razzo abbatte l’aereo in cui viaggiano i presidenti di Ruanda e Burundi, entrambi di etnia hutu. Per ogni ruandese è il giorno che cambia per sempre il corso di ogni cosa. Lo è anche per il piccolo Jean Paul, nato in una famiglia tutsi, che dal mattino seguente comincia a lottare per sopravvivere. Cerca rifugio nella parrocchia di Shangi e nella diocesi di Cyangugu, ma anche i luoghi sacri sono un argine troppo fragile di fronte alla furia omicida. Grazie all’aiuto di una hutu dissidente, ritrova la madre e riesce a rifugiarsi nel campo profughi di Nyarushishi. Mancano il cibo e l’acqua, le malattie si diffondono fulminee. Un giorno i tutsi vedono convergere sul luogo prima la gendarmeria, poi le truppe francesi e internazionali: dopo mesi di abbandono, stentano a credere che siano lì per proteggerli dai loro assassini. È l’inizio di una nuova epoca, segnata da una ricostruzione che parte dalle macerie. Nel 1997 Habimana entra in seminario, decide di diventare prete e parte per l’Italia per proseguire gli studi di filosofia e teologia, ma nel 2009 abbandona il cammino verso il sacerdozio. Supera molte difficoltà per restare a studiare in Italia e nel 2010 si laurea con il massimo dei voti in Scienze religiose.
“Bariscine“, diario, 1942-1943
Irriverenza, gioventù e voglia di divertirsi: è lo spirito con cui Raffaele Resta (Bari, 1922-1977) vive l’esperienza della campagna di Russia e della ritirata del regio esercito, fino al marzo del 1943. Sin dal lungo viaggio di andata, l’amore e le pulsioni erotiche verso le ragazze locali prendono continuamente il sopravvento sul clima di violenza che circonda Resta e i suoi commilitoni. L’arrivo in Russia coincide con il disvelamento della ferocia tedesca e dello sterminio degli ebrei, e con la scoperta dell’efferatezza della guerra combattuta a Est. La guerra offensiva italiana, osservata dalle sterminate retrovie di Stalingrado dove Resta si muove per mesi con la sua vettura tra Millerovo e Stalino (Doneck), appare lontana. L’onda d’urto bellica provoca lutti e sofferenze, ma consente di muoversi, di vivere e corteggiare le “bariscine”, le ragazze russe. Nei giorni dell’offensiva sovietica, Raffaele ingaggia una lotta per la sopravvivenza che proseguirà anche nell’ora più buia, che coincide con l’inizio della ritirata.
“Alle spalle del tempo“, autobiografia, 1927-2012
Artista plastico di fama internazionale, Paolo Schiavocampo (Palermo 1924) si racconta in un’autobiografia ritmata da ricordi accelerati per il passato prossimo, meticolosi fino all’inverosimile per quello remoto. La Sicilia sarà un luogo sempre centrale: all’interno della Fiumara d’Arte, nel messinese, si può ammirare ancora oggi una delle sue opere più belle. Ancora bambino, Paolo si trasferisce a Torre Annunziata a seguito del padre ingegnere e generale dell’esercito; nel 1938 è a Roma, si iscrive ad architettura, eccelle nel gioco del tennis e frequenta artisti coetanei e di fama. Intanto inizia la guerra e Paolo tenta di arruolarsi volontario. Con la famiglia si sposta a Varese dove assiste impotente alle violenze repubblichine. Nel dopoguerra torna a Roma, frequenta Angelo Usai e Salvatore Scarpitta, si avvicina alla sinistra ma disapprova le ingerenze del Pci in campo artistico. Si trasferisce a Venezia, dove studia e vive di espedienti, poi a Torino per amore di Renata, con la quale comincia una convivenza che durerà 61 anni. I primi tempi sono difficili, le cose migliorano quando si trasferiscono a Milano, negli anni ’50. Nel 1964 vive un’esperienza esaltante a New York, mentre dalla fine degli anni ’70 diventa un riferimento per la comunità di Rapolano, in Toscana. Le sue opere sono ormai note in tutto il mondo.