Un’opera di Raffaello e l’inedito legame con Castiglioni e Arezzo nel libro di Alpini
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Il suo ultimo libro, pubblicato dalle Edizioni Effigi di Arcidosso è intitolato “Sulle orme dello Sposalizio della Vergine. Fatti e misfatti intorno al dipinto di Raffaello” ed è la storia di un “pedinamento” del capolavoro del grande Maestro urbinate.
Tutto ha avuto inizio osservando un piccolo dipinto ovale, che l’arciprete di Castiglion Fiorentino – don Marcello Colcelli – aveva mostrato a coloro che avevano partecipato alla presentazione del restauro di un quadro. Nell’ovale proveniente dall’antica Collegiata castiglionese e poi “emigrato” a Sant’Agostino, al di sotto di un’immagine di San Girolamo si notava un piccolo stemma con un’aquila che ghermiva una tartaruga. La curiosità spinse Alpini a recarsi nella Biblioteca di Castiglioni e con l’aiuto di Fabio Salvietti – dipendente dell’istituzione – scoprì che quello stemma era di una famiglia estinta più di un secolo e mezzo fa, i Velluti-Ghini. Una lettura dei fascicoli biografici del meritorio notaio ottocentesco Giuseppe Ghizzi – conservati nell’omonimo fondo della medesima biblioteca – e Alpini si trovò di fronte ad una clamorosa sorpresa: i Velluti-Ghini di Castiglion Fiorentino, così come i Guadagnoli di Arezzo erano eredi della famiglia Albizzini di Città di Castello. E siccome il notaio Filippo Albizzini fu colui che nel 1504 commissionò a Raffaello Sanzio un quadro raffigurante lo Sposalizio della Vergine, da collocare in un suo altare interno alla Chiesa di San Francesco della città tifernate, estinta quella famiglia il patronato sul capolavoro del grande Maestro urbinate passò alle famiglie ad essa imparentate che, come abbiamo detto, erano i Velluti-Ghini e i Guadagnoli.
A quel punto Giuseppe Alpini ha iniziato un’indagine molto interessante e il risultato è offerto al lettore nel citato libro, con una dovizia di informazioni davvero sorprendente.
L’autore parte da lontano, dalle reliquie sacre e dei santi, dalla loro fortuna fin dall’epoca paleocristiana, la loro spasmodica ricerca, la creazione di falsi, il sacrilego commercio che ne fu fatto nei secoli, per arrivare ad un “pezzo” speciale: il Sant’Anello che Giuseppe donò a Maria, capitato in un’epoca dibattuta in quel di Chiusi in Valdichiana. Ma siccome le reliquie importanti richiamavano pellegrini e quindi denaro, i Perugini che avevano a pochi chilometri un centro di primaria importanza, qual era Assisi con i corpi di San Francesco, dei suoi Frati e di Sorella Chiara, per non essere da meno fecero di tutto per impossessarsi del Sant’Anello e alla fine, nel luglio 1473 un “frate manigoldo” originario di Magonza rubò la Santa reliquia e la portò a Perugia. Nel capoluogo umbro la presenza del Sant’Anello fece fiorire il culto verso San Giuseppe e di conseguenza si focalizzò l’attenzione sullo Sposalizio tra Lui e Maria. A Perugia nacque anche una Compagnia dedicata al Padre putativo di Gesù e intorno al 1495 questa incaricò il celebre pittore Pietro Vannucci, detto il Perugino, di realizzare una tavola con su dipinto lo Sposalizio della Vergine, in cui campeggia il Sant’Anello. Il Notaio di Città di Castello Filippo Albizzini, che frequentava spesso il capoluogo, pensò di fare qualcosa di simile nella sua città e siccome stava facendo costruire un altare gentilizio nella Chiesa del Convento di San Francesco, commissionò al giovane Raffaello il celeberrimo Sposalizio. Questa l’origine del capolavoro, ma poi Alpini ne segue le vicende, che furono piuttosto monotone fino al 1798, quando durante l’occupazione francese dell’Umbria il generale Giuseppe Lechi lo confiscò e lo inviò quale trofeo di guerra a Brescia, sua città di origine.
Anche l’altro Sposalizio perugino fu sequestrato nel medesimo periodo dalle truppe francesi, come tantissime altre opere d’arte italiane e dopo vari giri finì a Caen in Francia.
Il capolavoro di Raffaello rimase poco a Brescia e fu venduto per 3.500 scudi d’oro all’ospedale Maggiore di Milano. Successivamente per 45.000 lire milanesi passò alla Pinacoteca di Brera e tranne durante le due Guerre mondiali, quando fu spostato in luoghi meno soggetti a bombardamenti, è sempre rimasto là, dove attualmente si può ammirare.
L’indagine di Alpini segue anche alcune famiglie aretine, castiglionesi e cortonesi, in varie maniere legate agli Albizzini che ci diedero questa immensa opera di Raffaello. Tutto il libro è permeato da un’illustrazione dei vari contesti storici e sociali in cui si svolsero le vicende principali e l’insieme è raccontato con leggerezza, con sagacia e perfino con spunti di simpatica ironia, come accade sempre nei libri di Giuseppe Alpini.
Il libro sarà presentato il 10 dicembre nei locali di Spazio Aperto, in Corso Italia, 80 a Castiglion Fiorentino.
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