Desertificazione #2. Elettronica, edicole, distributori, bar, market e panetterie arretrano. In crescita le farmacie
Un tempo, le vie dei centri storici erano animate da piccoli negozi di vicinato, o negozi di prossimità, botteghe artigiane e attività a conduzione familiare che rendevano ogni borgo un microcosmo autosufficiente. Questo commercio diffuso non era soltanto un motore economico, ma anche un fattore determinante per la sicurezza, la fruibilità e la vivibilità degli spazi urbani. Passeggiare nei centri storici significava incontrare persone, scambiare parole con il bottegaio di fiducia e sentirsi parte di una comunità. Prosegue il nostro viaggio in quella che abbiamo definito come progressiva desertificazione commerciale e dei servizi essenziali dei piccoli centri del nostro territorio.
Nella seconda parte del nostro Focus, ci vengono in ausilio i dati del Dossier “Desertificazione Commerciale” a cura di Confesercenti (un grazie alla direttrice aretina Valeria Alvisi), che illustra il progressivo declino delle attività commerciali in Italia. La nostra attenzione va verso la situazione dei piccoli e medi comuni.
La desertificazione commerciale: un fenomeno in crescita
L’Italia si distingue per una rete variegata di insediamenti, dalle grandi metropoli ai piccoli borghi, dove l’economia locale è storicamente basata su negozi di vicinato, botteghe e attività familiari. Queste realtà hanno garantito beni e servizi essenziali, contribuendo non solo alla coesione sociale ma anche all’attrattività turistica e occupazionale. Tuttavia, negli ultimi anni, questa struttura unica è stata messa a dura prova.
Dal 2001 al 2024, il numero di attività commerciali al dettaglio in Italia è diminuito drasticamente: si è passati da 130 a 92 imprese ogni 10.000 abitanti, mentre nella media UE si è registrata una leggera crescita, da 72 a 77. A influire negativamente sono stati fattori come la crisi pandemica, l’aumento dei costi energetici, l’inflazione e la crescita del commercio digitale. La mancanza di politiche nazionali a sostegno del commercio locale e regolamentazioni urbanistiche sfavorevoli hanno aggravato il fenomeno, portando alla chiusura di numerosi esercizi.
Questa desertificazione ha conseguenze significative: perdita di posti di lavoro, riduzione della ricchezza locale e peggioramento della vivibilità dei centri abitati, soprattutto nei comuni più piccoli, dove si innesca un circolo vizioso di spopolamento e impoverimento economico.
Una fotografia dello stato attuale delle attività commerciali, turistiche e di servizio, analizzandone dinamiche, criticità e prospettive. Rigenerare queste realtà significa valorizzare le piccole imprese locali, essenziali per il tessuto sociale ed economico del Paese, e contrastare la delocalizzazione che impoverisce i territori. Il futuro dell’Italia passa dalla salvaguardia del commercio di vicinato, una risorsa fondamentale per comunità vive e attrattive.
Negli ultimi dieci anni, l’Italia ha assistito a una significativa riduzione delle attività commerciali nei piccoli e medi comuni, un fenomeno noto come “desertificazione commerciale”. Questo trend ha implicazioni profonde non solo per l’economia locale ma anche per la vivibilità e il tessuto sociale delle comunità.
I numeri del declino
Secondo il rapporto, tra il 2014 e il 2024 sono scomparse oltre 23.000 attività commerciali nei comuni con meno di 15.000 abitanti. Il calo ha colpito soprattutto:
Negozi di elettronica (-30,9%)
Edicole (-30,3%)
Distributori di carburante (-22,6%)
Minimarket (-19%)
Anche settori tradizionali come le panetterie e le macellerie hanno subito contrazioni significative, rispettivamente del -17,3% e -18,4%.
I settori che arretrano
Alimentare. Nel settore alimentare, la situazione è particolarmente grave: in 565 comuni, oltre 3,8 milioni di persone non possono più acquistare il pane in una panetteria vicino a casa, e più di 1,2 milioni di residenti hanno perso l’accesso ai forni. Anche per altri generi alimentari la situazione è drammatica: circa 3 milioni di persone non hanno più un negozio di bevande, 2,3 milioni non possono più acquistare pesce fresco in una pescheria, 2,1 milioni non trovano più un negozio di ortofrutta, 1,6 milioni non possono più rivolgersi a una macelleria, e quasi 800mila devono rinunciare anche ai minimarket.
Abbigliamento. Nel comparto dell’abbigliamento, la situazione non è meno preoccupante. Circa 3,2 milioni di residenti devono uscire dal loro comune per raggiungere un negozio di biancheria, una cifra simile (3,1 milioni) non ha accesso a un negozio di vestiti per bambini, e 1,2 milioni non possono più acquistare abiti per adulti nel proprio comune. Altro non alimentare. Anche il settore non alimentare vede una significativa riduzione dei punti vendita. Altri 3,6 milioni di residenti, soprattutto nei piccoli comuni, non hanno più un negozio di elettronica o elettrodomestici nelle vicinanze. Quasi 3,5 milioni di persone non possono più comprare giornali o riviste nel loro comune, 2,7 milioni non hanno accesso a librerie, quasi 2,6 milioni non possono rivolgersi a un emporio per prodotti non alimentari, 1,6 milioni non trovano più un ferramenta, e oltre 500mila italiani devono recarsi in un altro comune per fare rifornimento di carburante.
Servizi. Più contenuta, ma comunque notevole, la desertificazione delle attività di servizio. Parrucchieri e barbieri spariscono da 273 comuni (tutti sotto i 5mila abitanti), per un totale di oltre 237mila residenti. Parrucchieri e barbieri sono spariti da 271 comuni, coinvolgendo oltre 237mila residenti. I bar, simbolo della socialità di provincia, hanno chiuso per 150mila persone in 246 piccoli comuni – anche in questo caso tutti sotto i 5mila abitanti.
I piccoli comuni fino a 15mila abitanti sono i più colpiti
Complessivamente, sono stati 5.653 i comuni interessati dal processo di desertificazione, principalmente comuni piccolissimi (meno di 5mila abitanti) e piccoli (tra 5 e 15mila residenti). Tra i comuni colpiti, 2.620 hanno registrato la sparizione di una sola attività di base, 1.784 di due e 1.249 di tre o più. Milioni di residenti si trovano dunque costretti a percorrere chilometri per soddisfare bisogni primari e acquistare beni di uso quotidiano. E attenzione, non solo beni, anche servizi. Come riferito da Arezzo24, in Toscana 26 comuni, per una popolazione di circa 46mila abitanti, non hanno più sportelli bancari sul territorio. A questi vanno sommate le frazioni di alcuni comuni più grandi, come nel caso di Rigutino, comune di Arezzo, dove la chiusura della filiale di Intesa Sanpaolo infligge un ulteriore colpo al tessuto economico e sociale della località, già segnata dalla cessazione di numerose attività commerciali.
Il calo per tipologia di impresa. A ridursi, proporzionalmente, sono soprattutto i negozi di elettronica di consumo e di elettrodomestici (-30,9% dal 2014), anche a causa dello spostamento delle vendite di questo tipo di prodotti verso l’eCommerce. Il cambiamento dei consumi innescato dalle tecnologie digitali è visibile anche per la rete di edicole e rivendite di quotidiani e riviste, che diminuiscono del 30,3% in dieci anni. In crollo an- che i distributori di carburanti, che lasciano sul campo in dieci anni quasi un quarto dei punti vendita (-22,6%). Forte contrazione anche per minimarket (-19%), ma spariscono velocemente anche le macellerie (-18,4%), panetterie (-17,3%) e ferramenta (-15,3%). Cali un po’ meno veloci, ma sempre cali, invece, per empori (-3,1%) e librerie (-7,5%). Anche se, in quest’ultimo caso, la rete è quasi ridotta all’osso: in media, ormai, nelle località più piccole c’è una sola libreria ogni 30mila abitanti. Più variegato, invece, l’andamento i negozi di abbigliamento di base. I negozi di abbigliamento per adulti aumentano del +31,2% (2.242 negozi in più). Una crescita che sembra, però, essere trainata soprattutto dall’effetto sostituzione delle sottocategorie specifiche della moda: i negozi di confezioni per bambini e neonati perdono il 12,2% delle imprese in dieci anni, quelli di biancheria il 23,6% il e quelli di calzature il -28,3%. Riduzioni che trainano in negativo la dinamica complessiva dei negozi di moda (-151 imprese dal 2014). Nemmeno bar ed esercizi simili si salvano dalla desertificazione: un tempo punti centrali, anche dal punto di vista sociale, dei centri minori, stanno sparendo sempre più rapidamente dai piccoli comuni: dal 2014 la flessione è del -12%, pari a -7.616 imprese in meno, la maggior parte assoluta (-6.374) persa dal 2019 ad oggi. Giù anche i parrucchieri (-5% dal 2014, quasi 2mila imprese in meno).
Le eccezioni
Tra i servizi di base, registra una crescita delle imprese attive nei piccoli comuni il commercio al dettaglio di generi di monopolio, che registra un +4,9%, pari a 634 imprese in più, in dieci anni. Una tenuta dovuta alla
struttura di rete ‘protetta’, ma anche al progressivo aumento dei servizi offerti da tabaccherie e ricevitorie ai propri clienti, dai pagamenti di bollettini e multe ai trasferimenti di denaro, passando per la ricezione di
pacchi e la gestione di abbonamenti digitali, che ha contribuito a rafforzare la loro presenza e il loro ruolo nei piccoli comuni. Crescono anche le farmacie: secondo i dati di Federfarma, in Italia, nel 2014, operavano oltre 6.000 farmacie rurali, cioè farmacie situate in comuni o centri abitati con meno di 5.000 abitanti. Nel 2024 se ne contano oltre 7.200. Anche in questo caso, si tratta di attività che godono di una certa protezione, essendo fondamentali per garantire l’accesso ai medicinali e ai servizi sanitari nelle aree meno densamente popolate. La loro presenza è incentivata da politiche che mirano a garantire la copertura sanitaria su tutto il territorio nazionale, riconoscendo l’importanza di queste strutture come presidi di servizio indispensabili per le comunità locali.