Cortona On The Move 2020, la cultura resiliente a prova di Covid – Foto

Nell’anno nero del coronavirus Cotm ha messo in campo una resilienza strabiliante. A marzo la pandemia ha imposto l’inchiodata al mondo della cultura. La direttrice artistica Arianna Rinaldo lo racconta con un’immagine efficace: il festival “ha dovuto annullare tutti i piani, mettersi a sedere e pensare“.

The COVID-19 Visual Projectè partito con una open call (ancora aperta) per fabbricare memoria e registrare la storia che stiamo vivendo, fatti ed emozioni. L’ingaggio è stato da subito collettivo, per narratori visuali professionisti e amatoriali di ogni nazionalità. Il calendario scandito dall’epidemia in Italia ha dato una mano al trasloco del progetto dall’online alla fisicità. Nonostante i margini decisamente ristretti per la preparazione e l’allestimento, l’Associazione Culturale ONTHEMOVE ha fatto in tempo a commissionare lavori a grandi nomi della fotografia e del videomaking. Per un’estate è stato tutto come prima.

Normalità apparente

La Fortezza del Girifalco e i Giardini del Parterre, Palazzo Capannelli e piazza Signorelli, via Nazionale, via Roma. Cortona e il suo festival sembravano quelli di sempre. Eppure, il virus. Presenza totalizzante in ciascuno scatto, protagonista assoluto in tutti questi mesi, capace di un’intensità sconosciuta a qualsiasi altro soggetto fotografico. Seguendo la curva di una circolarità sadica, il Covid ha marchiato la genesi del Cotm 2020 e stuzzicato la cicatrice negli ultimi giorni di mostre.

Nel frattempo si è fatto osservare, filtrato dallo sguardo degli interpreti. Se in una certa misura il loro talento ha smorzato la mostruosità dello spettacolo, la fine del lockdown e le recenti misure anti-contagio hanno rivestito l’esperienza cortonese di una teatralità amara. Come se il Cortona On The Move avesse un’anima, sentisse e sapesse quando arrivare e quando levare le tende. Una coincidenza d’effetto, inquietante e affascinante insieme.

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Raccontare un virus

Il Covid in scena lo porta davvero Alex Majoli, fotografando l’Italia nella morsa del morbo dalla Sicilia al confine con la Slovenia. La luce sta dove l’attenzione deve posarsi, il resto è oscurità, frustrazione, paura, dolorosa sospensione. Londra vuota e magnifica risplende nelle foto di Simon Norfolk, che cavalca la suggestione di una metropoli post-apocalittica. I frequentatori in mascherina del Ridley Road Food Market riempiono i ritratti di Gideon Mendel: figure, frammenti di vissuto e pensieri a distanza di sicurezza raccolti negli scatti e nelle didascalie.

Sempre ritratti quelli firmati da Andrea Frazzetta, esploratore della prima linea dell’emergenza sanitaria affollata di medici, infermieri, forze dell’ordine, addetti alle pulizie negli ospedali. Paolo Woods e Gabriele Galimberti si “rinchiudono nella bellezza” dei musei italiani senza visitatori, mentre negli scatti di Edoardo Delille le piazze e le chiese di Firenze deserta riecheggiano il silenzio dell’isolamento collettivo, quando il fuori si guardava soprattutto dalla finestra.

In tutte queste opere il Covid-19 è nell’aria, sulle superfici e negli sguardi, al centro della preoccupazione mondiale. Fino a Ushuaia, nella Terra del Fuoco, all’estremo sud del pianeta (come mostra il documentario ibrido foto-video di Luján Agusti e Nicolás Deluca) e sulle strade che collegano le varie zone del nostro Paese – le ha percorse Daniele Ratti, catturando con il suo obbiettivo gli autogrill trasfigurati in cattedrali nel deserto nei primi mesi dell’emergenza -. Scorci di vulnerabilità in Russia e in Sudafrica nelle opere di Nanna Heitmann e Michele Spatari, la corsa ai ripari di New York nella testimonianza per immagini e pagine di diario di Gaia Squarci. La confessione di un Luis Cobelo-voyeur del vicinato è affidata ad un videodocumentario girato con lo smartphone sui nuovi modi di vivere il fuori mentre imperversa la pandemia, da soli o a distanza con gli altri.

Guardiani di memoria

Cortona ha messo a disposizione i suoi gioielli architettonici per stupire con grandi prove d’autore. La cultura da fruire in uno spazio pubblico ci mancava un sacco; nessuna lasciata è persa stavolta, dato che tutte le foto si trovano online. Ogni racconto ha bisogno di un ascoltatore/spettatore. Scoprire “The COVID-19 Visual Project” ha significato di più che visitare una mostra. Il nostro contributo alla memoria di tutti è passato attraverso il girovagare da una location all’altra con il biglietto in mano. Se osservando si diventa testimoni, di quella memoria adesso siamo anche custodi.

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