Il dilemma del battello: rinunce da turista e il prezzo della responsabilità
Le ricerche online si tingono di eroismo. Il display dello smartphone accecante come il solleone che li ha fiaccati nel fisico e nella mente, i testi lillipuziani e vattelappesca se col COVID le regole saranno le stesse. Orari e costi immutati? Il sito sarà aggiornato o no? Voto di fede all’efficienza del concessionario della navigazione, è comunque troppo tardi per telefonare.
Il passo decisivo slitta al risveglio. Che è anticipato, frettoloso, carico di aspettative e della voglia di farcela: salire a bordo del battello, vivere quel tripudio turistico sognato fin dal lockdown, sennò-che-vacanza-è? Colazione al telefono con la tour operator, la linea si libera quando lei ha appena azzannato il cuore della brioche alla marmellata. Si sente poco e male, l’operatrice ha fretta. Nella smania di portare a casa la prenotazione dei biglietti evapora la concentrazione. Lei riaggancia senza sapere nulla su luogo di ritrovo, costo della gita, offerte di intrattenimento sull’isola. Tutto al buio. Lui, che il cornetto e il cappuccino se l’è goduti come Dio comanda, fa notare con nonchalance la lacuna più macroscopica: andare sì, ma dove?
Centralino intasato, l’ennesima consultazione spasmodica alla pagina web come ultima spiaggia. Le informazioni si materializzano dove la sera prima c’erano solo tracce di inchiostro digitale senza senso: è fatta. Comincia la fuga sull’asfalto, il sollievo di avere una destinazione da impostare sul navigatore spazzato via dall’ansia di vedere la nave dei desideri mollare gli ormeggi senza di loro.
Arrivati all’infopoint, si dividono i compiti: lei in fila, lui in spedizione per comprare bevande e panini per un soggiorno economico a pancia piena. La coda scorre lentamente, c’è tutto il tempo per pregustare le gioie della traversata in barca e dell’approdo. Al desk mani esperte staccano una coppia di ticket, un sorriso e avanti il prossimo. Lui torna con le vettovaglie. Sulle spalle pesano come piombo, ma non sia mai che l’unico ristorante sull’isola prosciughi le loro finanze per un pranzo dozzinale con conto stellare. Mica dilettanti loro, lo sanno come funzionano le gite organizzate. Che poi, in tempo di coronavirus, non scordiamoci le spese “da protocollo sanitario”: gel disinfettante, mascherine per il personale, sanificazione e tutti quei costi che fanno lievitare il prezzo dell’esperienza. Incolonnati a distanza di sicurezza, muniti di mascherina e disciplina esemplare, gli aspiranti escursionisti sembrano aver recepito il messaggio.
Peccato che manchi così poco a quando il battello salperà e che il porto non sia proprio dietro l’angolo. Giri a vuoto per il parcheggio, lui in ermetico silenzio, lei sbuffa per due. Fa già troppo caldo per fare sport al momento della corsa verso il molo. Puntualissimo l’effetto gregge: quando qualcuno comincia ad affrettare il passo, parte una via di mezzo fra la maratona e il flash mob. Finalmente la sagoma del natante, il nome coincide con la loro destinazione. Molti smaltiscono il fiatone mentre aspettano il verdetto del termometro-pistola. Ci pensa un gruppetto specializzato del personale che regola l’accesso a bordo. Lui la precede, lei percorre a piccoli passi il ponticello di salita. La mascherina intralcia la visuale sulle sneakers, ma prima di scivolare in mare come una pera cotta meglio essere prudenti.
Il mondo galleggiante, però, è tutto diverso da come se lo aspettavano. Troppe le mascherine che sventolano agli avambracci dei presenti o fanno capolino dalle tasche dei costumi, scoprono nasi e adornano menti. Distanziamento sociale addio, sia nella parte al chiuso che sul ponte all’esterno. Mancano posti assegnati e sedute interdette, nessuna traccia di controllori a bordo. Eppure il gel disinfettante c’era. Ci fa sempre caso lei, perché igienizzarsi le mani sotto sotto la diverte. Mentre ci sta pensando vede lui che prima le dava la schiena e adesso le viene incontro. Si aspetta un commento sarcastico sulla totale anarchia ondeggiante di cui sono diventati parte. Quello che sente è una comunicazione secca, quasi una constatazione da manuale scientifico: “Io scendo“.
Uno tsunami di tristezza le si abbatte contro. Dopo la levataccia, la brioche mangiata con l’imbuto, le beffe degli innumerevoli tuuu tuuu al telefono, la fila, la caccia al parcheggio, il timore recondito di non essere ammessi a bordo, l’escursione salta? Lo conosce, nulla lo tratterrebbe sul battello-Far West. Se l’era giurato, in vacanza solo bellezza, relax e capricci. Invece una melodia strappalacrime le rimbomba nella testa per almeno un quarto d’ora mentre cammina a ritroso sul lungomare.
Con chi ce l’ha di più? Nell’immediato gli organizzatori della traversata le sembravano gli unici imperdonabili colpevoli, ma adesso i suoi compagni di viaggio le fanno altrettanto rabbia. La connessione dati spesso non arrivava alle calette che ha visitato i giorni scorsi, ma è riuscita a dare una scorsa veloce ai titoli di giornale nelle pause di nullafacenza e internet disponibile. Focolai nelle discoteche, gente costretta a prolungare il soggiorno in un villaggio turistico in Sardegna a causa dei contagi. La movida a tutti i costi, senza regole a tutte le età. Quello che hanno visto è illegale? Forse no, ma sull’inopportunità sono d’accordo entrambi. Non erano questi i patti, quando hanno riaperto i cancelli della socialità. Ripartire subito, ma in sicurezza, si era deciso. E nel piccolo? Tenersi cara la normalità in cambio di rinunce, serietà individuale, senso civico.
Mano a mano che gli scorci da Eden mediterraneo si infrangono in mille pezzi nella sua immaginazione, la consapevolezza subentra alla malinconia. Non c’era alternativa se non correre il rischio. Come le mascherine, anche la responsabilità ha un prezzo.