“Il richiamo dei cavalieri”: gli sbandieratori nelle memorie della famiglia Livi
“Il richiamo dei cavalieri“, scritto a quattro mani dalla coppia e presentato domenica pomeriggio alla libreria Edison di Arezzo, raccoglie il punto di vista di tutta la famiglia Livi su un’esperienza che l’ha coinvolta per decenni. Pasquale è stato il primo a entrare nella squadra degli Sbandieratori. Fernanda l’ha imitato, seguita a sua volta dai loro tre figli. Anche Massimiliano, Stefano e Daniele Livi, paggetti del Saracino che poi hanno impugnato la bandiera, hanno fornito il loro contributo in termini di inchiostro e parole al volume. “Nel 2010 abbiamo deciso di abbandonare il gruppo perché non corrispondeva più agli stessi obiettivi e valori che avevano guidato la nostra appartenenza“, spiega Fernanda. “Dopo quell’addio, volevamo che rimanesse qualcosa del nostro lavoro, tutta la famiglia vi era impegnata. All’inizio sono stati liberi pensieri che ognuno ha scritto per conto proprio. In seguito abbiamo deciso di dargli una forma, con estrema fatica anche organizzativa. Dopodiché, visto che si ingrandiva il numero di partecipanti allo scritto, abbiamo pensato di fare una cosa diversa dalla normalità dei libri. Tanto a noi interessa che rimangano forti le radici che abbiamo sempre rispettato e soprattutto la memoria, che non mi sembra una cosa molto frequentata ultimamente“.
Negli anni vissuti da sbandieratori, Pasquale e i suoi figli hanno girato l’Italia e buona parte dei vari continenti. Le piccole trasferte nazionali servivano per finanziare i grandi viaggi all’estero: Giappone, Stati Uniti, Argentina, Sud Africa, l’Europa. Ovunque andasse, il gruppo capitanato da Livi portava con sé la responsabilità di rappresentare il nome e l’identità passata e presente di Arezzo. “Eravamo gli alfieri della città, ‘eletti’ a simboleggiare la sua storia, le sue tradizioni, il suo bagaglio culturale immenso“, puntualizza Pasquale. “Dovevano esserci ragazzi all’altezza. Questo ruolo richiedeva sacrifici personali e insegnava a mantenere la parola data, visto che non c’era nessun contratto scritto fra noi. Gli allenamenti, le trasferte, ore e ore di pullman per raggiungere un paesino in bassa Italia e magari ritornare nello stesso giorno ad Arezzo“. Anche il rispetto quasi sacro per la città richiesto dal direttore tecnico Livi rendeva quella realtà una palestra di vita. “Negli anni Settanta non c’erano grandi possibilità di muoversi, viaggiare, conoscere. Con gli Sbandieratori si veniva a contatto con delle realtà impensabili, si imparava a vivere con gli altri, a capirli“. La scoperta affascinante di culture e comunità ignote era un privilegio collaterale che i membri del gruppo potevano godersi a patto di un’adesione salda ai valori dell'”etica dello sbandieratore“. Tanto che fra i suoi ricordi più cari Pasquale inserisce un ritratto preciso: “ho avuto la fortuna di conoscere figure incredibili, dall’Imperatore del Giappone alla Regina d’Inghilterra, due papi, Presidenti della Repubblica, sportivi famosi. Però c’è stato un personaggio particolare qui ad Arezzo che era Carlo Dissennati, il nostro presidente e giornalista della Nazione, che mi ha insegnato l’onestà, la correttezza, l’altruismo. Lui cercava di risolvere i problemi degli altri senza mai apparire. La sua grande cultura, i suoi principi morali erano di altissimo livello e mi hanno aiutato ad affrontare tante situazioni difficili“.
Dietro le quinte delle esibizioni si muovevano persone come Fernanda, prima e unica donna a ricevere il titolo di Sbandieratore d’Onore dall’associazione, nel 1988. Oltre al supporto durante qualche trasferta, il suo impegno si è concretizzato soprattutto nell’ideazione delle coreografie e in uno studio approfondito sui costumi e sulle bandiere. Lei lo racconta così: “a un certo punto si è deciso di dare una spinta che servisse a mantenere il gruppo dentro una sfera storica e non solo folcloristica. Il rientro delle chiarine nel campo dei suoni al posto delle trombe è un esempio di questa svolta. Oppure le bandiere, che erano ridotte a una sola tipologia (nonostante il colore cambiasse sempre) e quindi non avevano più attinenza con i costumi. Ogni abito appartiene a un comune della città di Arezzo che ha una storia alle spalle, medievale o anche più risalente nel tempo. Volevamo ricreare quello che era nell’antichità – certo, con tutte le concessioni possibili, perché ci trovavamo in un mondo molto più avanzato tecnologicamente. Sono state necessarie delle ricerche storiche. Me ne sono occupata e ho trovato Nara Peruzzi, una sarta eccezionale. Lo conferma il grande Valentino, che ha incontrato il gruppo a New York e voleva che i costumi realizzati da Nara partecipassero alle sue sfilate“. Alla figura di questa formidabile artista del taglia e cuci va la dedica del libro da parte di Fernanda. “A lei è stata affidata la fattura dei costumi. Le trasferte piccole servivano per sovvenzionare vestiti, bandiere e tutte le cose necessarie per rappresentare al meglio la città di Arezzo. Ho viaggiato spesso da sola in Italia e quando mi capitava all’estero“.
In “Il richiamo dei cavalieri” i ricordi personali e familiari si annodano a quelli dell’associazione. Successi e difficoltà, alti e bassi nei rapporti interni alla squadra, le incursioni della Storia nella vita del gruppo fino al distacco, irreversibile e doloroso. La loro versione di cosa è accaduto è stampata in 403 pagine. L’intento del volume non consiste in una rivendicazione di proprietà sugli Sbandieratori di Arezzo, ma nel mettere su carta la visuale degli autori su una parte essenziale delle loro vite. L’amore incondizionato della coppia per la sua città sembra sopravvissuto al divorzio dall’organizzazione. Anziché esprimersi nelle piroette aeree di una bandiera, la loro devozione passa attraverso un gesto di solidarietà, messo in luce da Fernanda: “tolte le spese, una parte del ricavato del nostro libro andrà in beneficenza agli anziani poveri di Arezzo. Abbiamo scelto così perché almeno io potrò controllare che i pochi soldini che riusciremo a raccogliere raggiungano la loro destinazione“.