La nuova vita del Grosso di Arezzo: l’antica moneta diventa l’anello degli aretini

Prima dell’euro e della lira, nell’Arezzo medievale si pagava con il Grosso. Qualche secolo dopo la vecchia moneta ricompare nella sua città natale trasformata in un anello d’argento. In mezzo, la creatività di Gabriele Veneri, ex giostratore del Saracino e imprenditore di Semar Srl.

Il convinto assist social di Andrea Scanzi ha contribuito attraverso un lungo post con foto a far conoscere il gioiello firmato dall’azienda aretina, che produce soprattutto semilavorati in metalli preziosi, con sbocchi commerciali in oreficeria, moda, numismatica. Sul suo profilo Facebook, il giornalista mescola la storia del “Grosso agontano de Aritio” con commenti personali, dichiarandosi “orgoglioso di indossare quell’anello, una delle mie tante maniere di portare con me la mia città“.

Al dritto la croce patente, San Donato al retro. Nella seconda metà del Duecento e per poco più di 20 anni la città, da libero Comune, coniò una moneta tutta sua. La zecca aretina interruppe bruscamente la sua attività dopo la sconfitta nella battaglia di Campaldino, l’11 giugno 1289. I guelfi fiorentini ebbero la meglio sulle forze armate ghibelline di Arezzo, guidate dal vescovo Guglielmo degli Ubertini, lo stesso che probabilmente inventò il Grosso. Fine dell’indipendenza, fine della moneta? Non proprio. Già prima di essere recuperato dal team della Semar, il Grosso ha rifatto capolino in epoca contemporanea sotto forma di premio che i Maestri del Lavoro di Arezzo ricevono ogni anno il giorno della Festa della Repubblica, durante una cerimonia ufficiale.

Arezzo24 ha raggiunto Gabriele Veneri per farsi raccontare di persona il salto che ha portato la vecchia moneta cittadina al dito di Andrea Scanzi e non solo nella nuova veste di “anello degli aretini”.

Bianca: Come le è venuta in mente quest’idea?

Gabriele Veneri: Io avevo fatto un calco della moneta dopo che una persona di Arezzo, che ho già ringraziato, me la fece arrivare fra le mani. Dato che mi sento molto legato al territorio – prima di essere italiano, sono aretino! – all’inizio ho ricavato un anello con il Grosso da quel calco e l’ho tenuto per me. Poi, a un certo punto, ho deciso di farlo per tutti a un prezzo accessibile. Non è un’operazione puramente commerciale ma che nasce dalla voglia di donare alla nostra città l'”aretinità” che c’è dentro di noi, per darle un segno di riconoscimento. Secondo me oggi c’è bisogno di questi simboli di appartenenza. Leggere la storia che ha raccontato Andrea Scanzi l’altro giorno mi ha quasi commosso, è riuscito a descrivere tutto ciò che era nel nostro spirito quando abbiamo deciso di fare questo anello. La Semar realizza principalmente prodotti per altre aziende, con i loro marchi. Questa volta invece abbiamo deciso di farne uno da vendere nei nostri canali, per trasmettere un senso di appartenenza a chi lo acquista, ma anche come oggetto che può portarsi a casa come ricordo chi viene a visitare Arezzo.

Bianca: Che mercato pensa che avrà l’anello degli aretini? Potrebbe essere l’inizio di un trend nazionale nel settore dei gioielli?

Gabriele Veneri: Ci è venuto l’appetito mangiando! Stiamo già lavorando su tutta una serie di monete destinate anche ad altre città. Questa è nata ad Arezzo ma lo sviluppo naturale dell’idea sarà esportarla in altre località, con le loro monete caratteristiche. In questo momento la vendita è prevista in modalità e-commerce su officinadellamedaglia.it perché questo non dev’essere un oggetto di nicchia, di lusso. Volgiamo che tutti lo possano acquistare senza doverci pensare molto.

Bianca: La sua azienda sforna spesso progetti originali. Per esempio, gli anelli ispirati ai titoli di canzoni degli artisti ospiti al Mengo Music Fest quest’estate. Dove prende l’ispirazione per un prodotto creativo e di successo?

Gabriele Veneri: Innanzitutto dall’altruismo. Alla fine, non ci svegliamo la mattina solo per fare denaro ma anche per dare continuità a quello che facciamo. C’è un forte attaccamento al territorio e il desiderio di dare un contributo alla società in cui viviamo. Noi siamo ad Arezzo e per scelta non l’abbiamo mai lasciata, né abbiamo mai delocalizzato le nostre produzioni in Paesi dove era molto più conveniente. Siamo fortemente convinti che la nostra artigianalità e la nostra tradizione vadano coltivate e continuate qui. I progetti che facciamo con la scuola vogliono cercare di dare stimoli ai ragazzi. Quello del Mengo, ad esempio, ha avuto un ritorno eccezionale. Quest’anno si sono iscritti all’Istituto Margaritone alcuni giovani che hanno saputo della scuola proprio durante il festival. Per noi è un orgoglio aver potuto dare questo tipo di contributo. Anche perché, se non investiamo nei giovani e nel territorio, alla fine le cose si fermano.

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