Cassa integrazione in deroga, per i sindacati “una festa al buio”

“Ci dispiace non condividere l’entusiastico commento della sindaca Chiassai che ha valutato come “bellissima” la notizia che ci saranno 8 settimane di cassa integrazione in deroga per il comparto moda. Talmente bella – commenta il segretario provinciale della Cgil, Alessandro Tracchi – da indurre il sottosegretario Durigon a giungere in Valdarno per incontrare imprenditori e giornalisti”.

La Cgil ammette che sarebbe stata la prima a far festa se il provvedimento del Governo fosse davvero capace di tirar fuori dalle secche della crisi un settore economico fondamentale per il Valdarno. “Definire bellissima questa notizia è come dire che il Governo ha aumentato le pensioni al minimo. Il che è tecnicamente vero ma quanto incide nella vita quotidiana un aumento di pochi euro al mese rispetto all’inflazione? Gli anziani sono più poveri di prima. E nel nostro caso – commenta Tarchi – le aziende del settore conserveranno intatti i loro problemi. Non solo. Sembra che le settimane siano 10 e che 8 sia stato un refuso. La situazione non cambia ma aiuta a capire in quale contesto ci muoviamo. Inoltre saremmo di fronte ad una rigidità burocratica dal parte del Ministero che avrebbe preso in considerazione solo i codici Ateco per individuare le imprese potenzialmente beneficiarie”.

Elisa Calori, segretaria Filctem Cgil, ricorda che “seppur non disdegnando qualsiasi forma di aiuto ma considerando la quantità di crisi aziendali aperte nella nostra provincia, ci saremmo aspettati un aiuto più consistente e soprattutto che questo intervento fosse rivolto all’intero comparto della moda e alla sua filiera. Quindi non solo a specifici codici Ateco che ad oggi vanno ad escludere pelletteria e concia. Ricordo che Il Valdarno è un territorio ricco di piccole e piccolissime pelletterie che sarebbero escluse da questo intervento. Analogo problema con la concia, comparto presente soprattutto a Santa Croce e che se non verrà sostenuto, provocherà ovunque enormi problemi di approvvigionamento di materia prima. Il provvedimento del Governo evidenzia quanta poca consapevolezza ci sia della gravità della situazione e che le 10 settimane non sono che una cura palliativa che non ci aiuterà ad attenuare una crisi di un intero sistema moda, anzi neppure la scalfiremo”.

Moda non è solo confezioni ma anche pelletteria, calzaturifici, accessori.

Preoccupate sono, in modo particolare le imprese metalmeccaniche: “la produzione di accessori in metallo è una componente significativa del sistema produttiva non solo del Valdarno ma dell’intera provincia aretina – ricorda Antonio Fascetto, segretario della Fiom. E’ impensabile, se si parla del comparto moda, che molte imprese rimangano escluse dalla cassa integrazione in deroga solo per l’attribuzione del codice Ateco. Non abbiano di fronte un piccolo numero di imprese ma moltissimi aziende che occupano una quota consistente della forza lavoro del territorio. Senza dimenticare che in questo particolare ambito, molte famiglie lavorano in un’unica azienda: la sua chiusura sarebbe la condanna alla povertà. Infine i committenti, i grandi marchi che hanno fatto la loro fortuna anche con il lavoro di queste piccole imprese, dovrebbero riflettere sul loro ruolo sociale e contribuire a risolvere i problemi”.

La Cgil chiede quindi un’attenta verifica del provvedimento varato il 21 ottobre dal Consiglio dei ministri che prevede – ad oggi – otto settimane di cassa integrazione in deroga nel 2024 per fronteggiare la crisi occupazionale dei lavoratori dipendenti delle imprese del comparto moda.

“La nostra richiesta è quella di un consistente e utile aumento delle settimane di cassa integrazione e l’estensione di questo sostegno a tutte le imprese interessate, a vario titolo, nella filiera del comparto moda. Ma – conclude Tracchi – oltre al tema urgente e che giunge in ritardo degli ammortizzatori sociali, serve avviare un percorso con tutte le parti sociali che gestisca la transizione e gli effetti della innovazione tecnologica digitale. Una strategia che non può fare a meno di responsabilità e sostenibilità (ad iniziare dai grandi marchi) nelle filiere produttive dove viene scaricato parte del peso della concorrenza compromettendo diritti. Deve essere approfondita e condivisa l’attenzione alla legalità nella ricerca di un nuovo modello di sviluppo anche di questo settore che – dalla produzione al consumo – tenga conto della qualità del prodotto, della sicurezza sul lavoro e dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori”.

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