Fp Cgil: “la sanità aretina perde personale e il personale perde diritti”
La Fp Cgil torna sulla situazione della sanità. Lo fa con una lettera inviata ai vertice della Asl Tse con la quale si esprime “forte preoccupazione sulla tenuta dei servizi sanitari e sulla capacità di dare risposte soddisfacenti ai bisogni espressi dai cittadini”. Il sindacato ricorda “la cronica e allarmante carenza di personale, peraltro certificata con il Bilancio consuntivo 2022 che riporta un taglio di ben 312 teste rispetto al 2021, che continua nel 2023 con un‘altra sforbiciata superiore alle 100 unità”. La Fp Cgil contesta le soluzioni adottate dalla Asl Tse che “stanno minando il sistema introducendo meccanismi retributivi che non assicurano equità e pari dignità tra le diverse professioni e all’interno di queste tra i vari professionisti. Inoltre, spesso, al danno si accompagna la beffa con i ripetuti tentativi da parte dell’Azienda di scaricare sul fondo dei dipendenti costi derivanti dalla mancanza di personale e dalle politiche di contenimento dei costi. Non si assume, ma in compenso la spesa per straordinari e prestazioni aggiuntive lievita, le ultime ormai cubano ben oltre 16 milioni di Euro, generando sperequazioni tra dipendenti”. Tra i problemi della sanità toscana e quindi aretina, Gian Maria Acciai, segretario provinciale Fp, cita anche quella che viene considerata una brutta abitudine e cioè ilo riconoscimento dei diritti contrattuali, sanciti dal contratto nazionale 2016-2018, solo in presenza di una decisione del magistrato. “I tempi di vestizione e svestizione, ovvero i minuti occorrenti al lavoratore per indossare e rimuovere la divisa ed essere nei tempi prestabiliti nei reparti, sono previsti nel contratto nazionale e sanciti in prima istanza da un accordo regionale del 2017 – ricorda Acciai. La Fp Cgil aveva ottenuto, attraverso uno specifico accordo aziendale, che la piena applicazione della norma avrebbe avuto inizio con l’entrata in vigore del Contratto nel 2018, che prevedeva (e prevede) che i 10 minuti (il cosiddetto tempo tuta) fossero riconosciuti a tutti coloro siano tenuti ad indossare un divisa di lavoro”. Sono passati anni e “troviamo sconcertante, che l’azienda riconosca questo diritto (e presumibilmente presto anche quello dei buoni pasto) solo a chi gli fa causa, facendo spendere denaro ai lavoratori e sperperando denaro pubblico in spese legali. Si ravvisa in questo atteggiamento anche una palese scorrettezza in ordine alle relazioni sindacali, negando l’applicazione di un accordo e favorendo invece quei sindacati che speculano con azioni di conflittualità. Da mesi stiamo cercando un confronto con l’azienda al fine di superare questo impasse, ma l’azienda ad oggi pare disinteressata favorendo di fatto il percorso delle cause. Chiediamo chiarezza, ma, soprattutto – conclude Acciai – chiediamo che la Direzione risponda per il danno arrecato ai lavoratori e nei confronti di chi, come noi, difende e tutela i diritti di tutti i lavoratori”.