Attenzione che qualcuno non faccia la festa alla Toscana
Una festa dedicata quest’anno ai valori umani e alla lotta alle disuguaglianze a 100 anni dalla nascita di Don Milani. Con una intitolazione del genere ci sarebbero un sacco di cose da dire (e da fare), ci sarebbero…
“I care”, lotta alle disuguaglianze, giustizia sociale. Tutte cose che sento ripetere da anni come un mantra. Formule sempre più stanche perché prive di passione, etica e coerenza.
Perché non si può dire una cosa, assumersi impegni e fare il contrario.
Perché non si può affidare la soluzione dei problemi ad aridi burocrati il cui compito principale è incastonate le cifre di bilancio, magari ritenendo che su di un diritto fondamentale, come quello alla salute, ci si possa piegare a logiche di mercato e a ricette privatistiche.
Un tempo la Toscana era un grande laboratorio politico, penso alle politiche sanitarie e sociali, ai distretti industriali, alla pianificazione urbanistica. Oggi non è più così. Mi pare, spero di sbagliarmi, che la politica si sia arresa, si sia rinchiusa in un fortino impermeabile ai giudizi che arrivano dalla società.
Si crede che bastino numeri e classifiche per acquietare gli animi. La gente è orgogliosa se la Toscana è posizionata bene nelle graduatorie nazionali, ma l’orgoglio non basta. Alla gente preme che vengano risolti i problemi: dalle liste d’attesa ai treni dei pendolari, dalle infrastrutture alla casa. Interessa un nuovo dinamismo economico in grado di mettere insieme innovazione e tradizione. Ma per far questo ci vogliono idee, una visione, ci vuole in poche parole la politica.
In caso contrario il futuro di questa regione si presenta assai incerto e le sconfitte in gran parte dei comuni capoluogo sono un campanello di allarme chiaro per chi fino ad oggi ha governato.
Solo i sordi non l’hanno udito, purtroppo, come dice il proverbio, “non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire”.