Decreto Caivano: non sparate sul pianista
Troppo facile ridurlo a un semplice spot elettorale, c’è anche quello. Ormai c’è lo spot in quasi tutti i provvedimenti della politica-spettacolo. Ho ancora negli occhi quel sindaco che se ne andava a zonzo con i cani antidroga, o quell’altro che faceva sfoggio di muscoli in palestra minacciando sfracelli. Risultato: zero carbonella.
Tuttavia solo chi è accecato dal pregiudizio ideologico può dire che il provvedimento del Governo non colga un problema reale perché il termine “sicurezza” risponde a un bisogno sociale. L’alternativa alla legge sono due: o la giustizia fai da te oppure il rinchiudersi in casa. Si può discutere sulle singole misure del decreto, alcune decisamente sbagliate ma non sul principio.
O si capisce, specialmente a sinistra, che politiche della sicurezza significano garanzia del bene comune oppure, datemi retta, conviene andare a pescare le rane in Chiana (ammesso che ci siano ancora).
Le politiche della sicurezza significano difesa dei più deboli, perché sono loro quelli che quotidianamente subiscono piccole e grandi violenze, angherie, vandalismi, furti, scippi, danneggiamenti, spaccio sotto casa, o peggio ancora stupri e rapine.
La nostra gente vuole sicurezza nelle piccole e nelle grandi cose. Per esempio non vuole che gli piscino sul portone di casa, non vuole trovare ai giardinetti gente stravaccata o peggio siringhe tra i giochi dei bambini. La gente non vuole che un qualunque delinquentello rida in faccia ai carabinieri perché sicuro dell’impunità. La gente non vuole che lo scippatore, lo spacciatore il giorno dopo se ne tornino a spasso o che le stazioni ferroviarie dopo il tramonto diventino terra di nessuno.
Mettetela come vi pare ma la sicurezza è una questione che riguarda principalmente i più deboli. I ricchi, come avviene in molte parti del modo, se ne stanno al sicuro nelle loro ville e nei quartieri blindati. È ai poveri e ai meno garantiti che tocca ingollare il boccone amaro.