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mercoledì | 19-02-2025

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Festa della Toscana, nuntereggae più

Di sicuro fu un atto di grande civiltà, frutto di un governo che sapeva mettere in pratica i principi di una cultura illuminata ma dal 1786 sono passati più di due secoli, non vi pare sia arrivato il momento di resettare la storia e da fare il punto sull’oggi?
Oggi purtroppo l’illuminismo ha lasciato il posto alla penombra e vi è una limitata capacità di tradurre valori e principi in atti di governo. I valori si annunciano in ogni convegno, in ogni adunata ma non si attuano. Forse perché ormai prevale il motto “ognuno per sé e dio per tutti”.
Per una buona volta prendiamo atto che in questa bella regione viviamo ancora dell’eredità del passato sia dal punto di vista culturale, che da quello politico.
Se non ci fossero stati gli etruschi, la stagione dei comuni, il Rinascimento non saremmo niente. Così come se non ci fosse stata una grande sinistra riformista in Toscana, politicamente saremmo un’inezia.
Il patrimonio d’arte in buona parte l’abbiamo conservato, il lascito politico lo stiamo disperdendo.
Dico stupidaggini? Può darsi. C’è rimedio? Non lo so, giacché il senso alla storia la danno gli obbiettivi e al momento non mi pare che vi sia consapevolezza di dove stiamo andando e di dove vogliamo andare. Ha preso campo quella famosa ode di Orazio «carpe diem, quam minimum credula postero»: cogli l’attimo, confidando il meno possibile nel domani.
Ma una politica che non ha fiducia nel domani si riduce a mera tecnica, a coltura dell’interesse personale ed è quello che sotto il sole della Toscana sta accadendo. Quanto sarebbe meglio se la festa della Toscana servisse a celebrare la costruzione del futuro e non le glorie del passato.

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