Governo Draghi: ai tecnici la polpa e ai politici la colpa
“L’Italia post pandemia non sarà disegnata dai partiti. La ricostruzione sarà dei tecnici (…) Le policy — se uno volesse affidarsi alle distinzioni anglosassoni tra le strategie e le politiche in senso stretto — in carico ai tecnici indipendenti, le politics ai partiti. (…)”.
Insomma, mutatis mutandis, tocca ai partiti il compito di fronteggiare le emergenze (e di metterci la faccia) a cominciare da quelle del lavoro e della pandemia, mentre ad altri spetterà il compito di tracciare le linee che progetteranno l’Italia del domani.
Se le cose stessero per davvero così (spero di no), significherebbe un ribaltamento completo del concetto di democrazia rappresentativa. In pratica chi è votato dal popolo fa il lavoro sporco e chi è designato (si può immaginare da chi), svolge la funzione strategica.
Questo conferma quello che ormai sostengo da tempo e cioè che a partire dalle amministrazioni locali e più in su nella scala istituzionale, alla politica si va sostituendo una classe burocratico–tecnica e ai politici resta solo lo spazio del teatrino mediatico.
Sia chiaro, non siamo di fronte al fallimento della politica, bensì al fallimento di una classe politica, quella per intendersi nata dalle rovine del terremoto che ha distrutto gli equilibri istituzionali 20 anni fa e dal quale ancora non ci siamo ripresi.
La Politica invece è bella viva e pimpante, perché le sfide sono davvero grandi e anche quelli che oggi passano per tecnici saranno chiamati a scelte “politiche”. Dovranno cioè stabilire la disposizione dei pesi sulla bilancia della vita di ognuno di noi. Perché non è scritto da nessuna parte che un nuovo modello economico verde, una scuola all’altezza delle sfide globali, la digitalizzazione e tutte le riforme in cantiere siano, per loro natura, riforme che vanno nel senso della eguaglianza e della libertà. In questo caso spetterebbe alla forza dei partiti decidere da che parte andare.
Ma quali partiti? Con quelli attuali non si va da nessuna parte. Qui ci vuole davvero una rivoluzione copernicana che investa le forze politiche, tutte, senza eccezione. Una rivoluzione che ridia valore alla competenza e alla rappresentatività attraverso una selezione del ceto politico fondata non sulla fedeltà al cacicco di turno, ma sulla intelligenza. Per esempio ho trovato sbagliato che nella compagine di governo non siano stati riconfermati (anche con ruoli diversi) i ministri Gualtieri e Provenzano, due persone molto diverse, ma entrambe serie e capaci. Nessuno gli rimprovera niente, semplicemente sono stati “sacrificati” sull’altare della alchimie interne, quelle alchimie che trasformano dei somari in cavalli da corsa.