I colori sbiaditi del disincanto
Eh sì, ormai la politica deve fare i conti con quel disincanto, di cui tanto ha parlato Max Weber, che oggi determina un daltonismo politico così accentuato da scivolare nella acromatopsia.
In un mondo senza colori diventa una perdita di tempo chiedere all’onorevole Meloni di togliere la fiamma dal simbolo. Ormai siamo rimasti in pochi a conoscere il senso di quella vampa tricolore, per il resto a chi interessa? Così come non ha senso accusare il PD di essere criptocomunista solo perché propone in materia fiscale provvedimenti che le socialdemocrazie europee e i liberaldemocratici americani hanno digerito da un pezzo.
Ma di cosa parliamo? Nel mentre all’orizzonte avanza un urgano di cui è difficile stabilire la portata, qui si mastica la politica come un chewing-gum. Si sragiona su Blair, senza nemmeno conoscerlo bene, si tirano fuori i post di qualche ragazzo-candidato, che probabilmente non ha mai letto un libro di storia, per fargli fare la figura del somaro. Si nomina Orban come se fosse Napoleone Bonaparte, quando invece è il presidente di uno stato di 9 milioni di abitanti e la sola Lombardia, tanto per fare un paragone, ne ha 10. E nel frattempo l’inflazione, l’aumento dei costi dell’energia, il lievitare dei prezzi delle materie prime rischiano di bruciare non solo gli stipendi e i redditi ma perfino le risorse del PNRR, che qualcuno propone di utilizzare per tappare i buchi.
In tutto questo c’è molto di tragico ma poco di serio. Se esaminiamo le ricette economiche che vengono proposte come menù in queste elezioni ci accorgiamo che quasi tutte fanno aumentare il debito ma nessuna riduce le spese. Un circolo vizioso che provocherebbe il collasso di qualunque sistema, anche di quello più solido. Ormai serietà e rigore sono merci così straordinarie e rare da pensare che non esistano.