Il male oscuro del centrosinistra aretino
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Tuttavia, la scarsissima partecipazione esiste e dovrebbe consigliare prudenza a chi, nel centrosinistra, già parla di “vittoria della serietà sulla politica urlata”, di “affermazione della capacità di ascolto” o peggio del “PD partito del lavoro che è uscito dalla Ztl”. Fesserie!
Perché se è indubbio che il «richiamo all’ordine» del dopo Covid ha significato un appello alla ragione, è altrettanto vero che i nodi irrisolti, che alimentano il sovranismo e la spinta a destra, sono ancora tutti sul tappeto.
Ma non voglio parlare del dato nazionale. Mi interessa invece ragionare sul fatto che, mentre in Italia il centrosinistra guadagna il governo delle città, in provincia di Arezzo il voto appare congelato per il PD e i suoi alleati. Su 4 comuni, 3 sono andati al centrodestra (di cui due sopra i 15.000 abitanti) e uno al centro sinistra. La stessa fotografia (in peggio) di 5 anni orsono.
Qual è dunque il male oscuro che in terra d’Arezzo ha portato la destra al governo dei principali comuni, alla presidenza della Provincia, per non parlare dell’assenza di parlamentari di centrosinistra e di un voto alle regionali assai risicato nei numeri? Trasformando così una provincia “rossa” in una specie di Vandea? Non credo ci sia una ragione sola.
Ci sono i cambiamenti economici e sociali, mai studiati fino in fondo, i nuovi modelli culturali e di costume che, per loro natura, non trovano albergo nel perimetro di una sinistra tradizionale. C’è la destrutturazione dei partiti, che ha reciso i legami con i territori, la caduta delle ideologie e con esse di una visione del mondo. C’è la disaffezione e la disillusione di tanta gente che nel politico vede solo l’arrampicatore sociale. Cose vere ma che valgono per tutta Italia e non spiegano fino in fondo quel che succede dalle nostre parti.
E quel che accade non riguarda solo il PD aretino, riguarda l’intero centrosinistra: dalle sue ali più estreme fino a coloro che si collocano in una posizione vicina al centro. A fronte delle difficoltà del PD, infatti, non v’è stata una crescita di altre forze politiche riformiste. O meglio una crescita c’è stata, quella della Lega e di FDI che hanno ereditato interi pezzi di elettorato un tempo orientato a sinistra.
Qual è dunque la specificità aretina che si somma a tutti gli altri elementi? La specificità è al tempo stesso politica e psicologica. La specificità sta nell’incapacità di riconoscere gli errori per non assumersi responsabilità: troppe sconfitte sono state derubricate a semplici incidenti di percorso. Sta nella presunzione di credere di essere migliori degli avversari, quando invece non è così. Sta nell’aver trasformato la politica in un enorme post sui social, in un evento mediatico con molti lustrini e poca sostanza. Sta nel voler compiacere tutti e alla fine nel non convincere nessuno. Sta in quella malattia degenerativa che ha trasformato i partiti in comitati elettorali. Dove prevalgono i giochi di corridoio e dove i destini personali si sovrappongono alla politica.
La soluzione non è, come leggo da qualche parte, il “tutti a casa e si ricomincia”. Per lasciare il posto a chi? Ma lo capite che, tranne qualche raro caso, non ci sono più ricambi? Guardate al mare di incompetenti che sono finiti in parlamento! E in queste condizioni la soluzione non è nemmeno quella di andare nelle periferie, tra i lavoratori, nelle case come novelli gesuiti in terre sconsacrate. Per raccontare cosa? Di diritti civili quando la gente non arriva a fine mese?
Meglio sarebbe prima chiarirsi le idee. Pertini ebbe a scrivere che il popolo italiano non chiede che lavoro, una casa e di poter curare la salute dei suoi cari. Troppo poco? Sarà pure poco, ma se si riuscisse a riaggiornare questi temi, magari parlando anche di ambiente e di PIL con lo stesso coraggio con cui ne ha parlato il premio nobel Parisi in parlamento, avremmo già fatto un bel programma. Si riparta dunque anche ad Arezzo dall’ umile lavoro quotidiano. Senza voli pindarici e senza l’arroganza di pensare che le prossime elezioni politiche sono già vinte, perché non è così.