Il sole torna a splendere su Liberty Island, ma le ragioni del sovranismo sono tutte sul tavolo
Sia chiaro, anch’io sono contento per la vittoria di Biden, come ho scritto da qualche parte “il sole torna a splendere sopra Liberty Island”, pur tuttavia sono meno soddisfatto di quanto lo siano molti miei amici e compagni di avventura. Preferirei mettere da parte un po’ della mia riserva di felicità per la vittoria del centrosinistra in Italia e chi crede che vi sia un automatismo tra quanto avvenuto in America e quello che potrà accadere in casa nostra, è più cieco di una talpa. Certo, con un presidente democratico alcune cose cambieranno: i rapporti con l’Europa, una lotta serrata al cambiamento climatico, un approccio multilaterale ai problemi del mondo, forse anche un maggior impegno per ridurre le disuguaglianze su scala globale. Ma questo non significa che arriverà la fatina buona a risolvere i nostri problemi. Io sono convinto che occorra imparare dalle sconfitte e a me pare che ancora non abbiamo capito bene la lezione che arrivava dalla elezione di Trump quattro anni fa.
Una lezione amara che ci dice che la gente ha bisogno di politica, quella bella grande con la P maiuscola e non di tecnicismi, di speranze e non di smorto pragmatismo, di contatto umano e non di lontananza. Non a caso, Biden ha vinto perché tante persone sono tornate a votare. Ma per mobilitare uomini e donne occorre parlare un linguaggio chiaro, agire in termini collettivi e non individuali, essere meno elitari, meno snob, perché non è vero che chi la pensa in maniera diversa è un uomo primitivo. Ma più di ogni altra cosa bisogna essere in grado di tracciare una strada lastricata di idee, competenze, capacità e passione. Esattamente l’opposto di chi è convinto, e ce ne sono tanti anche dalle nostre parti, che la politica sia una scienza esatta e l’elettorato si possa addomesticare come un barboncino al circo. Per loro sarebbe sufficiente assumere Jennifer O’Malley Dillon, la guru della campagna di Biden, per vincere le elezioni. Non è così, la politica è fatta di umori, di desideri immediati e sogni a lungo termine, è un amalgama di passato, presente e futuro. La vittoria di un candidato non viene dal colore della cravatta o dalla posa davanti alla telecamera, ci vuole anche quello, ma principalmente occorre la capacità di incarnare lo spirito del tempo. Per questo non credo che la sconfitta di Trump segnerà un declino del sovranismo. Le ragioni del sovranismo sono ancora tutte sul tavolo. Si chiamano crisi economica, distruzione dei ceti medi, immigrazione senza regole, cui si aggiunge una cultura diffusa che non è più cultura ma idolatria del più forte, del più bello e del più furbo. Il nostro paese è cambiato, anche in virtù dell’esplosione dei social media, dove purtroppo ogni imbecille è re. Non è un caso che in questi anni sia aumento il fossato tra città e zone interne, più lontane dai grandi processi di trasformazione, un prezzo che in Toscana la sinistra ha pagato in voti e radicamento sociale. Se i progressisti, anche qui da noi, in questa economicamente e socialmente martoriata provincia di Arezzo, vogliono tornare a vincere, devono tornare alla semplicità dei concetti e delle proposte: riduzione della precarietà, sicurezza, investimento sull’istruzione, rafforzamento dello stato sociale, politiche ambientali. E soprattutto occorre avere più coraggio, combattere per le proprie idee, difendere i diritti e rafforzare i doveri, perché si può e si deve dare risposte alla nostra gente senza per questo perdere di vista la storia a cui apparteniamo.