Se i carburanti aumentano non è colpa dei benzinai
La causa sta nella scelta politica, perché chi governa deve prendersi qualche responsabilità, di non rinnovare il taglio delle accise sui carburanti. Si può discutere se questo taglio fosse giusto o sbagliato: per esempio alcuni sostengono che la riduzione delle accise, essendo generalizzata, ha favorito i più ricchi, che avendo maggiori possibilità di consumo ricevono benefici più ampi dagli sconti fiscali uguali per tutti.
Non è una argomentazione campata in aria ma che però non tiene conto che buona parte dei trasporti in questo paese avvengono su gomma e che l’aumento di benzina e gasolio è un formidabile propellente non solo per i mezzi ma anche per l’inflazione. Lo ripeto, a costo di spiacere a qualcuno, il mancato rinnovo del taglio delle accise è una scelta politica dettata da esigenze di risparmio e di contenimento della spesa: per capirci nel 2022, da marzo a dicembre, i decreti sulle accise hanno richiesto 9,1 miliardi. Sono cifre importanti e se un tempo le accise servivano a coprire le spese per la guerra in Etiopia, la ricostruzione dopo il disastro del Vajont o dopo i terremoti dell’Irpinia, del Belice e del Friuli, oggi non è più così. Sfatiamo un’altra leggenda metropolitana. Dal 1995, da quando cioè il governo Dini le ha rese strutturali, le accise possono essere destinate a coprire qualunque tipo di spesa nel bilancio dello Stato. È per questo che il governo ha scelto di non rinnovare i tagli, perché quelli sono soldi freschi, buoni, spendibili. Resta il fatto che tutte insieme quelle stramaledette accise sommate ad altre tasse incidono del 68% sul prezzo della benzina e del 64% sul prezzo del gasolio. Ecco perché è scorretto parlare di speculazione dei benzinai, oddio qualche truffatore può anche esserci ma pensare di ridurre il prezzo dei carburanti con un decreto trasparenza sui prezzi è una pia illusione. Non ridurrà certo il costo alla pompa l’obbligo per i distributori di esporre, oltre ai cartelli con i prezzi praticati all’interno, anche quelli medi su base regionale. Ne darà un gran contributo la così detta accisa mobile che tradotto in italiano significa che se il prezzo del petrolio sale, lo Stato incassa più soldi dalle accise e può decidere di impiegare queste risorse “extra” per abbassare l’imposizione fiscale. Con l’aumento del carburante dunque l’accisa cala e il prezzo si ridimensiona in modo proporzionale per compensare gli incrementi determinati dalle fluttuazioni del costo del petrolio. Una roba che ci vuole un economista di vaglia per calcolarla.
Il tema vero, che nessuno vuole affrontare, è che questo paese non può permettersi più bonus e sconti generalizzati e deve indirizzare le risorse in investimenti produttivi. Purtroppo dire queste cose significa perdere voti. Meglio allora alimentare speranze mirabolanti e affermare, come ha fatto quell’esponente della maggioranza di governo che “le promesse elettorali le manterremo quando ci saranno i soldi”. Vale a dire mai.