Alzheimer, 700.000 casi solo in Italia e 85.000 in Toscana
AREZZO – Occorre un nuovo approccio per garantire un’adeguata assistenza ai malati di Alzheimer, evitando che l’intera gestione ricada ventiquattro ore su ventiquattro sui familiari. Questa urgenza è espressa da Antonio Rauti, consigliere con delega al sociale della Casa di Riposo “Fossombroni”, in occasione della trentunesima Giornata Mondiale dell’Alzheimer di sabato 21 settembre che rappresenta un’occasione di riflessione e di informazione sulla più comune forma di demenza che conta 700.000 casi solo in Italia e 85.000 in Toscana. L’incarico all’interno della storica struttura aretina ha permesso di approfondire e toccare con mano questa malattia, evidenziando i principali elementi su cui andare a intervenire per essere di reale supporto ai pazienti e, soprattutto, ai loro familiari. «L’Alzheimer – ricorda Rauti, – è una patologia destabilizzante per i malati, prima di tutto, ma anche per i loro cari che spesso non sanno come gestire la situazione e si trovano in un’assoluta difficoltà e solitudine. Per questo motivo può essere importante offrire un’assistenza specifica organizzando laboratori, incontri e progetti quali i “Caffè Alzheimer” dove gli anziani possano trovare assistenza e i caregiver informazioni e consigli».
La principale problematica è rappresentata dalla stigmatizzazione e dalla disinformazione che circondano la demenza, dunque il primo passo per il cambiamento è rappresentato dal normalizzare il linguaggio su questi ambiti e dal mostrare cosa è possibile fare. Il declino cognitivo, innanzitutto, può essere valutato e prevenuto per evitare di giungere a richiedere un supporto cognitivo solo quando le normali funzionalità sono già compromesse in modo più o meno grave anche nella vita quotidiana. Un intervento precoce con attività di stimolazione cognitiva, invece, permetterebbe di condurre un progetto riabilitativo di rallentamento per tutelare la persona e la famiglia. In secondo luogo diventa fondamentale informare e orientare gli anziani e le famiglie sui percorsi diagnostici e di cure già esistenti, conducendo un’importante azione di supporto e sollievo in qualsiasi stadio di compromissioni cognitive. Una parallela attenzione è da rivolgere anche agli operatori delle strutture residenziali che, per una corretta presa in carico della persona con demenza, devono partecipare a corsi di formazione specifici per acquisire le competenze, gli strumenti e i comportamenti più idonei per i singoli casi. In quest’ottica, un ruolo importante può essere ricoperto dalle stesse strutture residenziali che ospitano persone con Alzheimer che dovrebbero aprirsi al territorio con eventi divulgativi o serate a tema per aiutare i caregiver anche nella cura a domicilio dei propri cari. «Le famiglie – continua Rauti, – devono essere avvisare su cosa fare già ai primi segnali, andando ad adattare gli ambienti di vita alle rinnovate esigenze e ad attuare comportamenti idonei all’evoluzione di una situazione che può mettere a dura prova. Uno dei problemi più seri e difficili da accettare è, ad esempio, l’aggressività verbale o fisica, dunque è necessario fornire la giusta preparazione. Ma, soprattutto, dobbiamo prevedere forme di aiuto concreto agli stessi familiari che non possono occuparsi ventiquattro ore su ventiquattro dei loro cari perché la gestione della malattia può influenzare negativamente e portare a un burn out tanto profondo da cui è poi difficile uscirne. L’auspicio è che la giornata del 21 settembre sia realmente un’opportunità per riflettere su queste problematiche e per attivare un reale processo di cambiamento».